Rassegna di primavera 2023 | 9 maggio 2023
FRANCE
Regia: Bruno Dumont
Soggetto: dal romanzo “Par ce demi-clair matin” di Charles Péguy
Sceneggiatura: Bruno Dumont
Fotografia: David Chambille
Musiche: Christophe
Montaggio: Nicolas Bier
Scenografia: Markus Dicklhuber, Erwan Le Gal
Costumi: Alexandra Charles
Suono: Philippe Lecoeur, Gert Jensen, Romain Ozanne, Emmanuel Croset
Interpreti: Léa Seydoux (France De Meurs), Blanche Gardin (Lou), Benjamin Biolay (Fred De Meurs),
Emanuele Arioli (Charles Castro), Juliane Köhler (M.me Arpel), Gaëtan Amiel (Jo), Jawad Zemmar
(Baptiste), Marc Bettinelli (Lolo)
Produzione: Jean Bréhat, Muriel Merlin, Rachid Bouchareb per 3B Productions, in coproduzione con Red
Balloon Film Gmbh, Tea Time Film, Ascent Film, Scope Pictures, Arte France Cinema, Bayerischer
Rundfunk, Rai Cinema
Distribuzione: Academy Two
Durata: 133'
Origine: Belgio, 2021
Data uscita: 21 ottobre 2021
Una celebre giornalista vede la sua vita sconvolta da uno strano incidente d'auto.
France de Meurs è la giovane giornalista di punta di un canale all-news francese. Conduce approfondimenti
giornalieri sull’attualità, modera dibattiti politici e confeziona reportage nelle zone calde del pianeta. È ricca,
bella, famosa e invidiata ma la vita privata non è altrettanto felice: con il marito scrittore Fred i rapporti sono
garbati ma glaciali e il figlioletto Jojo è viziato, problematico e anaffettivo. Inoltre a France capitano una serie
di guai che l’esposizione mediatica cui è soggetta amplificano a dismisura mettendone a nudo le fragilità fino a
un punto di rottura e tanto da convincerla a meditare il ritiro.
Fin qui la trama, a grandi linee, del film di Dumont. Tuttavia France de Meurs è anche, letteralmente, la
“Francia dei Costumi” (laddove “meurs” si legge come “mœurs” che sta per le abitudini o le pratiche sociali
comuni di un popolo o di una nazione e quindi appunto i costumi, esattamente come nel latino “mores”). E
parla evidentemente - senza nemmeno richiedere troppi sforzi di comprensione della metafora - di qualcuno (o
qualcosa) immerso in un mondo di apparenze, che usa linguaggi e modalità di comunicazione manipolatorie
per approcciarsi ai propri interlocutori, mentre tutto ciò di cui è fatto e circondato gli si sgretola lentamente
intorno.
Sì, certo che parla della Francia di oggi Dumont. E sì, certo che lo fa dalla prospettiva dell’informazione “un
tanto al chilo”; quella superficiale, mercificata e banalizzante che volgarizza e riduce ogni notizia alla logica
dell’intrattenimento. Del resto bastano i pochi minuti dell’incipit - straordinario - per capirlo. Durante una
conferenza stampa all’Eliseo vediamo la protagonista seduta fra i giornalisti accreditati rivolgere una domanda piuttosto pungente a Macron in persona e questi - quello vero di cui sono estrapolate immagini di repertorio
che inserite nel film con un abilissimo gioco di montaggio danno l’apparenza dell’autenticità - rispondere fra
l’imbarazzato e il sornione.
Eppure non è (solo) quello lo scopo di un film come “France”. Perché Dumont è troppo intelligente e troppo
abile per adagiarsi su metafore tanto pronunciate. Il regista confeziona infatti un film stratificato, cambia
continuamente strada, sovrappone registri e costruisce la narrazione con un taglio fortemente simbolico. France
sembra davvero contenere, sotto forma di simboli, tutto il suo cinema precedente. Dalle pennellate grottesche,
allo humor nero e via via fino ai volti (Baptiste, il ragazzo investito dalla protagonista o il giovane che fracassa
a calci una bicicletta dello sharing comunale), ai luoghi (il Nord in cui France si reca per un reportage) e le
situazioni narrative (l’omicidio della ragazzina) ogni cosa ha un legame con i film del passato, da “L'umanità”
fino a “P'tit Quinquin”. Elemento che suggerisce ancora meglio e a più ampio raggio l’immagine disfunzionale
che Dumont ci sta restituendo della Francia contemporanea. Un luogo in cui lo sporco e il mostruoso non sono
più relegati alla periferia più marginale e dimenticata, ma sono talmente strutturali alla società da diventarne
rappresentazione e addirittura immagine. Ed è proprio sulle immagini che il film si interroga e sono le
immagini l’elemento su cui Dumont lavora di più. Quelle televisive prima di tutto. Con i colori ultra-saturi
dello studio tv di France (giallo, bianco, nero) dei suoi abiti di scena (rosa, rosso) o delle riprese dei reportage
pesantemente modificate dalla color correction. Ma anche quelle dell’incidente di Fred e Jojo, tutte ralenti e
soggettive e, ancora, quelle dell’interno dell’appartamento della protagonista, quasi un’anticamera dell’inferno
dove fra i quadri di Gilbert & George, arazzi e tele barocche di ogni sorta dominano i toni del nero e del rosso.
Come se ogni oggetto del décor esprimesse quella pornografia dell’immagine evocata dall’informazione della
tv spazzatura di cui il film racconta e, attraverso il cinema, ci venisse restituita caricata di una potenza
disturbante ancora maggiore. Come nel momento in cui France annuncia il ritiro in diretta nazionale: una volta
pronunciato il messaggio di commiato e salutato il pubblico la camera per qualche (interminabile) istante non
stacca, la protagonista ripete il saluto e resta ferma a guardare nell’obiettivo, mentre noi avvertiamo
perfettamente la distanza emotiva, ontologica e anche politica dell’immagine televisiva rispetto a quella
cinematografica.
E il film è costruito tutto con questa logica mistificatoria, apposta per rendere ancora più complesso il
discrimine fra verità e artificio, fra apparenza e autenticità. E il corpo camaleontico e incredibilmente versatile
di Léa Seydoux in questo senso è straordinario. Dumont la usa come una carta geografica dei segni e degli
stigmi della contemporaneità e disegna sul suo volto - che piange, in continuazione, per tutto il film e sempre di
più - il dolore del mondo morente che racconta. Senza che si riesca a capire fino in fondo se sia una morte reale,
apparente, o solo una infinita rappresentazione.
Lorenzo Rossi, Cineforum
Lorenzo Rossi, Cineforum
France, simbolicamente, è il nome di una star del giornalismo tv (Léa Seydoux) che dopo aver investito un
fattorino entra in crisi profonda, cade, risorge, ricade, forse rinasce. Dumont ha sperimentato un umorismo
surreale e grottesco negli ultimi film e nelle ultime serie realizzate, cerca di raccontare la falsità del mondo
dell'informazione mimando la piattezza televisiva, con toni da soap incrinati da sprazzi di umorismo e da
affondi drammatici che lasciano intravedere qualcosa di vero oltre la superficie della società dello spettacolo.
Trovare l'equilibrio in questa idea, senza dire cose già note o perdersi nelle giravolte della trama, era difficile
(anche per gli attori), e il film ci riesce solo a sprazzi, ad esempio nel finale.
Emiliano Morreale, La Repubblica
BRUNO DUMONT
Filmografia: L'età inquieta (1997), L'umanità (1999), 29 Palms (2003), Flandres (2006),
Hadewijch (2009), Hors Satan (2011), Camille Claudel 1915 (2013), P'tit
Quinquin (2014), Ma Loute (2016), Jeannette, l'enfance de Jeanne d'Arc (2017),
Joan of Arc (2019), France (2021)
Martedì 16 maggio 2023:
LA SCELTA DI ANNE di Audrey Diwan, con Anamaria Vartolomei, Kacey
Mottet Klein, Luàna Bajrami, Louise Orry-Diquéro, Louise Chevillotte
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