Rassegna di primavera 2023 | 27 giugno 2023
TRIANGLE OF
SADNESS
Regia: Ruben
Östlund
Sceneggiatura: Ruben Östlund
Fotografia: Fredrik Wenzel
Scenografia: Josefin Åsberg, Gabriel De
Knoop (art director), Daphne Koutra (art director)
Costumi: Sofie Krunegård
Effetti: Johan Harnesk, Elena
Konstantinidou, Vincent Larsson (visual effects)
Suono: Andreas Franck, Bent Holm
Interpreti: Thobias Thorwid (Lewis),
Harris Dickinson (Carl), Charlbi Dean (Yaya), Woody Harrelson (Thomas Smith),
Zlatko Buric (Dimitry), Oliver Ford Davies (Winston), Hanna Oldenburg, Arvin
Kananian (Darius), Sunnyi Melles (Vera)
Produzione: Plattform Produktion,
Philippe Bober, Erik Hemmendorff, Julio Chavezmontes, Per Damgaard Hansen,
Giorgos Karnavas, Konstantinos Kontovrakis, Marina Perales Marhuenda
Distribuzione: Teodora Film
Durata: 150’
Origine: Francia, 2021
Data
di uscita:
27 ottobre 2022
Palma d'Oro
al 75. Festival di Cannes (2022).
Una coppia di modelli
celebri viene invitata a una crociera di lusso per i super ricchi. Lo yacht -
il cui capitano è un marxista rabbioso - affonda, lasciando i due bloccati su
un'isola deserta con un gruppo di miliardari e una donna delle pulizie. La
conseguente lotta per la sopravvivenza capovolgerà la gerarchia preesistente e
cambierà la dinamica del gruppo: la donna delle pulizie sale in cima alla
catena alimentare perché è l'unica che sa cucinare.
“Da ciascuno secondo le proprie
capacità a ciascuno secondo i propri bisogni”. Muove da un’istanza marxiana il
quinto lungometraggio di finzione dello svedese classe 1974 Ruben Östlund,
salito alla ribalta internazionale con “Forza maggiore” (“Turist”)
nel 2014 e poi consacrato dalla Palma d’Oro a “The Square” nel 2017.
A Cannes 75 compete con “Triangle of
Sadness”, che sceglie quale Virgilio una coppia di modelli Carl (Harris
Dickinson) e Yaya (Charlbi Dean), che intenti a riflettere sulla propria
relazione, soprattutto in merito al denaro, vengono invitati - lei è influencer
- a una crociera di lusso, appannaggio di oligarchi russi che «vendo merda»,
ovvero fertilizzanti, inglesi trafficanti d’armi e altri superricchi più o meno
afasici, con l’antitesi affidata al capitano alcolizzato e marxista, incarnato
da Woody Harrelson.
L’atmosfera a bordo è instagrammabile,
dallo champagne a una teoria di vezzi più parvenu che borghesi, ma la tempesta
è dietro l’angolo: lo yacht va su e giù durante la cena, di sette portate, del
capitano, ma potrebbe andare peggio, e andrà con profluvio di vomito e gli
spari sopra.
La capacità di Ruben Östlund di
scartavetrare apparenze, luoghi comuni e ipocrisie del (soprav)vivere
contemporaneo non si discute: l’aveva fatto in formato famiglia con il suo film
migliore, “Turist”, l’ha fatto meno bene con “The Square” nei
confronti dell’arte contemporanea, qui alza l’asticella o, almeno, l’ambizione,
imbarcando su uno yacht da 250 milioni ruoli sociali, barriere di classe e
nuovi ricchi.
Arriverà la proverbiale isola, anche
Venerdì - vedrete chi… - e c’è fino al disastro molto di lodevole: a parte che
la modella e attrice sudafricana Charlbi Dean nobiliterebbe pure una
cinepanettone, “Triangle of Sadness” si incarica meritoriamente di satira,
nonsense, ironia e analisi sociale sugli happy few, agendo su due direttrici:
la stigmatizzazione delle loro dorate miserie umane e la stigmatizzazione delle
loro altrettanto dorate crociate ambientali, civili, sotto il segno
dell’inclusione, del climate change e altre parole al vento.
Nega, a questi (na)babbi, persino
l’istinto di sopravvivenza o, almeno, la capacità di sopravvivenza: non sanno
pescare, accendere un fuoco, cucinare. Parassiti e avvoltoi, capaci di levare
il Rolex al congiunto estinto, che lo humour mette a giusta distanza, ma fino a
un certo punto, poi Östlund non tiene più, né il punto ideologico che
sdilinquisce, né i giri della sceneggiatura, ché le battute perdono brio, la
sceneggiatura si sfilaccia, l’iterazione ammorba la drammaturgia - e le due ore
e mezza si potevano tagliare di quarantacinque minuti agevolmente.
Ed ecco, nel percepire le debolezze,
che si mastica, se non amaro, il bolo: ma dov’è che l’avevamo già visto, “Triangle
of Sadness”? No, non le rasoiate antiborghesi di Buñuel, né la carnalità e
i fluidi corporei di Ferreri, ma un più esteso, ficcante déjà vu, dove? Tocca
guardare al mare, e farsi, ehm, travolgere dai ricordi: “Travolti da un
insolito destino nell'azzurro mare d'agosto” di Lina Wertmüller, 1974.
Giancarlo Giannini, Mariangela Melato, un altro yacht, ben altra battuta: «Brutta
bottana industriale socialdemocratica!». Se la sogna Östlund.
Federico
Pontiggia, Cinematografo.it
Se vi piacciono i film misurati e
compatti, “Triangle of Sadness” (Palma d'oro a Cannes 2022) non fa per
voi. Squilibrato, esagerato, prolisso, come già il precedente, premiato “The
Square”. Ma più di quest’ultimo, pieno di motivi interessanti, a partire da
una riflessione, articolata e non banale, sul tema del denaro. Il dislivello
della nostra società ha ispirato, negli ultimi anni, più di un cineasta, basti
pensare ad opere come “Parasite” o “Un altro mondo”. Il
contributo all’argomento di Östlund passa attraverso la sua predilezione per la
provocazione, le situazioni vagamente imbarazzanti, per i personaggi come per
gli spettatori. Qualche volta a produrre il disagio sono i dialoghi, come
quello iniziale, dove un ragazzo che ha pagato la cena alla fidanzata prova a
chiedersi, e a chiederle, perché è così scontato che a tirare fuori la carta di
credito sia sempre l’uomo. Ovviamente la discussione degenera in litigio, il
che permette al regista di introdurre il tema centrale del film, nella
fattispecie il condizionamento sociale determinato, sin nei rapporti di genere,
dal denaro. In altre sequenze la dimensione provocatoria è affidata alla
presenza di corpi comici, ovvero eccessivi, quindi destinati a uscire fuori di
sé: è il caso dell’episodio della crociera - la quintessenza di un mondo
piramidale, con i ricchi (i passeggeri) in cima e i poveri, verrebbe da dire la
servitù (camerieri, cuochi, ecc.), in fondo - che degenera in un’apoteosi
finale di merda e vomito.
A Östlund piace l’idea di ribaltare il
mondo, di vedere capovolte le sue gerarchie economiche; alla malinconia di
Brizé, a sua volta ossessionato da una visione marxista della società,
sostituisce l’amore per la dissacrazione, lo sberleffo irriverente di chi,
messo l’universo a testa in giù, poi si diverte a guardare gli effetti.
Esemplare al riguardo la parte conclusiva, ambientata su un’isola dove sono
finiti i malcapitati superstiti della crociera. E dove va in scena il gioco
della rivincita degli oppressi, della supremazia di chi le cose le sa fare su
chi invece è sempre e solo stato abituato ad ordinare agli altri di farle.
Anche in questo caso, in un contesto di irriverenza suprema, dove a prevalere è
una ironia feroce, acida, soprattutto nel raccontare la sparizione del rapporto
di solidarietà fra gli scampati al naufragio, corroso dalle dinamiche del
potere. Si ride, durante la visione del film di Östlund, ma sono risate
tutt’altro che liberatrici, la catarsi bloccata dalla consapevolezza che il
mondo di “Triangle”, per quanto ritratto con note grottesche ed estreme,
per quanto popolato da figure caricaturali, è pur sempre omologo al nostro: e
in quanto tale, scandito sui tempi e i modi della ricchezza, dell’autorità e
della sopraffazione.
Leonardo
Gandini, Cineforum
RUBEN ÖSTLUND
Filmografia:
De ofrivilliga (2008),
Play (2011), Forza maggiore (2014),
The square (2017), Triangle of sadness (2021)
Arrivederci a martedì 10 ottobre!



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