Stagione 2023/2024 | 12 dicembre 2023
FOREVER YOUNG - LES AMANDIERS
Regia: Valeria Bruni Tedeschi
Sceneggiatura: Valeria Bruni Tedeschi,
Noémie Lvovsky, Agnès de Sacy
Fotografia: Julien Poupard
Montaggio: Anne Weil
Scenografia: Emmanuelle Duplay
Interpreti: Nadia Tereszkiewicz (Stella), Sofiane Bennacer
(Étienne), Louis Garrel (Patrice Chéreau), Micha Lescot (Pierre Romans), Clara
Bretheau (Adèle), Noham Edje (Franck), Vassili Schneider (Victor), Eva Danino
(Claire), Liv Henneguier (Juliette), Baptiste Carrion-Weiss (Baptiste), Léna
Garrel (Anaïs), Sarah Henochsberg (Laurence), Oscar Lesage (Stéphane), Alexia
Chardard (Camille), Suzanne Lindon (cameriera), Sandra Nkake (insegnante a New
York), Isabelle Renauld (assistente di Patrice Chéreau), Franck Demules
(custode del teatro)
Produzione: Alexandra Henochsberg,
Patrick Sobelman per Ad Vitam/Agat Films & Cie/Bibi Film Tv/Lucky Red con
Rai Cinema
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 120'
Origine: Francia, 2021
Data
uscita: 1°
dicembre 2022
In
concorso al 75. Festival di Cannes (2022).
Fine anni '80. Stella, Etienne e Adèle hanno
vent'anni. Superato l'esame di ammissione per la prestigiosa scuola di Teatro
fondata da Patrice Chéreau e Pierre Romans, i ragazzi vivono a pieno la loro
giovinezza. Insieme, affrontano i primi grandi cambiamenti, amore e passione ma
anche le prime tragedie.
Sempre più matura e attenta alle svolte del cuore, là
dove tutto inizia e tutto finisce. Convinta che il cinema sia un’insistita
autobiografia e l’immedesimazione, dunque il racconto di cose sentite e
vissute, costituisca il motore di un film. Le petites choses francesi
s’accostano al metodo Stanislawskij per arrivare alla verità. Ecco spiegato
perché, al settimo film da regista, Valeria Bruni Tedeschi porta in scena la
scalata al successo dei giovani attori del Théâtre des Amandiers di Nanterre
diretto da Pierre Romans e governato dalle scelte artistiche di Patrice
Chéreau, di cui fu allieva negli Anni Ottanta. Ed ecco perché mette nei ruoli
principali due dei suoi compagni di vita: Louis Garrel (che interpreta Chéreau)
e il bel tenebroso Sofiane Bennacer, 26 anni, una trentina meno di Valeria,
coinvolto proprio mentre il film esce in Italia da uno scandalo partito con
un’accusa di violenze sessuali e annessa tempesta mediatica. Nella scuola di
Nanterre Valeria Bruni Tedeschi divenne un’attrice e il tocco personale è
subito evidente nella vicenda di “Les Amandiers” (in francese sono i
mandorli), scritto insieme a Noémie Lvovsky e Agnès de Sacy: proprio come
Valeria, la protagonista Stella (Nadia Tereszkiewicz) viene da una ricca
famiglia borghese e, nell’inquietudine di vincere la noia e la solitudine, si
porta verso l’arte e una vita intesa come un inesorabile schiaffo che plasma,
forma, e se non distrugge fa crescere. «Non voglio sprecare la mia giovinezza».
Dunque, un percorso attraverso l’amore e le sue diffidenze, la grande bellezza
e gli stress psicologici e fisici del mestiere «più bello del mondo», dove
tutto è finzione e tutto dev’essere affrontato con il massimo della
disponibilità e dell’energia. Di qui, i casting con l’ansia dei risultati, le
prove estenuanti di un accademico “Platonov”, lo stage all’Actors Studio
di New York, l’assegnazione delle parti, la considerazione (o il disprezzo) del
regista. Le gioie, le fragilità, le crudeltà, le droghe, il terrore dell’Aids e
il disagio di fronte al tempo che fugge, anche a vent’anni. Stella è amica di
Adèle (Clara Bretheau) e si innamora di Etienne (Bennacer), gran talento,
infelice patologico, legato ossessivamente alla madre, uno che avrebbe il mondo
in mano e invece si butta via con l’eroina. La commedia si mescola al dramma,
non solo sul palcoscenico. Chéreau è rappresentato come un despota geniale. Il
sipario si alza e si abbassa lasciando vetri rotti e tende strappate. Il magma
della gioventù scorre nelle vene dei protagonisti. Il teatro sconfina nel
cinema ed entra nelle esistenze di quei ragazzi divorati da un sogno, pronti a
vivere emozioni incandescenti. Bruni Tedeschi, che ama le vicende corali e
possibilmente tormentate come nei romanzi dell’Ottocento, rende omaggio al
metodo di Lee Strasberg per cui «gli attori sono come un pianoforte: quando lo
si suona bisogna aprirlo». Dice la regista: «La nostra era una scuola che
insegnava a cancellare il distacco tra scena e vita e la libertà di
rappresentarsi come in una seduta di psicanalisi, a imparare non tanto a
recitare quanto ad essere». La cinepresa di “Forever Young” è nervosa,
concitata, avanza a scatti. La senti addosso, sulle spalle, tra le mani.
Paolo Mereghetti, Corriere
della Sera
Commenti
Posta un commento