Stagione 2023/2024 | 23 gennaio 2024
UN BEL
MATTINO
Titolo
originale: Un beau matin
Regia:
Mia Hansen-Løve
Fotografia:
Denis Lenoir
Montaggio:
Marion Monnier
Scenografia:
Mila Préli
Costumi:
Judith de Luze
Suono:
Vincent Vatoux, Caroline Reynaud, Olivier Goinard
Interpreti:
Léa Seydoux (Sandra Kienzler), Pascal Greggory (Georg Kienzler), Melvil
Poupaud (Clément), Nicole Garcia
(Françoise), Camille Leban Martins (Linn), Sarah Le Picard (Elodie Kienzler),
Pierre Meunier (Michel), Fejria Deliba (Leïla), Jacqueline Hansen-Løve
(Jacqueline Kienzler), Catherine Vinatier (sorella di Georg), Samuel Achache
(marito di Elodie), Esther Wajeman (bambina di d'Elodie), Rose Wajeman (bambina
di Elodie), Elsa Guedj (vecchia allieva), Xavier Combe (collega interprete),
Jana Klein (collega interprete), Charles Norman Shay (veterano Omaha)
Sceneggiatura:
Mia Hansen-Løve
Produzione:
David Thion e Philippe Martin per Les Films Pelléas, Gerhard Meixner per Razor
Film/Arte France Cinéma, Charlotte Dauphin per Dauphin Films, Olivier Père
Distribuzione:
Teodora Film
Durata:
112'
Origine:
Francia, 2021
Data uscita:
12 gennaio 2023
Presentato alla 54.
Quinzaine des Réalisateurs (Cannes,2022); Premio Label Europa Cinema per
migliore film europeo alla 54. Quinzaine des Réalisateurs (Cannes,2022).
Sandra, una giovane madre
che alleva la figlia da sola, fa spesso visita al padre malato, Georg. Mentre
persegue un percorso ad ostacoli con la sua famiglia per farlo curare, Sandra
incontra Clément, un amico scomparso da tempo...
Quello di Sandra
è un mondo precario che la donna percorre, zaino in spalla, da un punto
all’altro, una dimensione nella quale la donna si è ritagliata una sua fittizia
certezza (nessun amore a turbarla) e dove nasconde i suoi stati d’animo;
l’incontro con Clément - già amico del marito morto, un’attrazione sottopelle
esistente da tempo e mai fatta emergere - ricombina il labile schema interiore,
ne ridisegna i termini alla luce di una riscoperta passione amorosa e sessuale.
È un risveglio, ma è anche un terremoto che smuove un equilibrio delicatissimo
di una vita fatta di impegni ponderosi: tirare su Linn, una figlia senza padre
(l’attaccamento istantaneo della bambina a Clément dice moltissime cose: la sua
zoppia immaginaria segue al primo abbandono dell’uomo); curare Georg, l’anziano
papà che si avvia a morire nel contesto più inevitabile e deprimente che i
nostri tempi conoscono; esercitare la sua professione di traduttrice (un lavoro
sintomatico, un altro modo per nascondere il suo sentire personale: dietro le
parole degli altri). E infatti la fragile armatura cede, il ventre molle
dell’anima si espone, l’instabilità della relazione (Clément è sposato) rende
instabile anche la donna, il fantasma della morte del padre assume corpo
assieme all’indifferenza del genitore nei suoi confronti (Georg non ne ricorda
mai il nome, invoca solo la sua compagna, non la nomina neanche tra le sue
persone preferite).
È un nodo
centrale questo della paternità, ancora una volta legato a un sottile gioco di
specchi che parte da Sandra e crea riverberi sulla figlia: così se all’inizio
Georg non riesce ad aprire la porta di casa a Sandra - è un genitore
disorientato e già perso -, nell’ultima scena al Sacré-Coeur Clément indica
alla piccola Linn dove si trova la loro casa, con questo assumendosi
implicitamente il ruolo di di guida, di padre putativo. Credo sia in questo il
massimo talento di Hansen-Løve: ricamare le sue storie di notazioni quotidiane
attentissime, implicitamente e mai dichiaratamente rivelatorie, dettagli umani
che rendono naturalmente risvolti sentimentali, sensazioni, sofferenze grandi e
piccole dei personaggi. Si noti come la regista rende i termini attuali del
rapporto di Sandra col padre: in quell’ammettere che il genitore oggi vive nei
suoi libri, nella biblioteca - fatta di volumi scelti e ponderati - che
sintetizza una vita (e che non può essere buttata via, c’è un cuore che batte
tra quelle pagine). O nella sonata di Schubert che Georg amava e che oggi
rifiuta: quando Sandra la riascolta - da sola sull'autobus - è come se
dialogasse con il padre “vero”, quello che non c’è più. Lacrime. E ancora:
quanto amore nutre l’autrice per i suoi personaggi? Quanta attenzione dispensa
per ciascuno di loro (la madre Nicole Garcia è quasi un film a sé)? C’è
qualcosa di letterario in questo, di elegiaco, di meditato, eppure ogni scena
sembra scaturire dalla semplice osservazione, quasi che fossimo di fronte a un
documentario, al racconto dal vero di una fase di passaggio di una donna che
sta perdendo qualcosa di importante e che non sa ancora se ne sta acquistando
un’altra.
Luca
Pacilio, Gli Spietati
Ci sono film che sono piccoli miracoli. Piccoli nel
senso che sono fatti, apparentemente, di cose minuscole, di dettagli e di rime
che li trasformano in musica concreta, di cose che passano pudiche sotto un
realismo piano, modesto, in apparenza neutrale. Sono film che non rimarcano, ma
marchiano dolcemente e inesorabilmente, al fuoco lento del tempo. In cui ogni
piano che non sia medio, figura intera, retorica del documentare la scena e le
sue traiettorie, sa aprire al sentimento. Con misura. “Un bel mattino” è così. Con il rigore rohmeriano per cui pare sia
la semplice superficie, a raccontare. Come se non ci fosse nulla da ostentare,
ma tutto da sentire: non un secondo fuori luogo, una ricerca dell’effetto.
Tutto visibile, alla luce, a far risuonare il segreto. Un ritratto
sentimentale. Nascosto in un dialogo, una smorfia, un silenzio proteso. E qui,
in questo racconto ancora autobiografico, in cui ogni scena, ogni piccolissima
scelta significa e pesa, c’è una donna (un’interprete, una traduttrice) sola con
figlia, ci sono un padre colpito da una malattia che gli mangia la memoria e lo
sguardo (come in una sorta di risposta sensibile a un’altra misura impossibile
e miracolosa, quella tenera e grottesca dell’Ozon di “È andato tutto bene”), e c’è un uomo, un amore possibile, che viene
e che va. Un’economia affettiva, un’ecologia sentimentale. Con un’attrice che
oggi sa piangere in milioni di modi (Léa Seydoux, priva d’ogni aura,
meravigliosa). Un finale che sa essere delicatamente insieme reale e
artificioso, in fragile equilibrio come ogni speranza. E “Love Will Remain” di Bill Fay, sui titoli di coda, a ribadire
l’unica cosa che conta.
Giulio
Sangiorgio, Film Tv
MIA HANSEN-LØVE
Filmografia:
Après mûre réflexion
(2004), Tout est pardonné (2007), Il padre dei miei figli (2009),
Un amore di gioventù (2011), Eden (2014), Le cose che verranno -
L'avenir (2016), Sull'isola di Bergman (2021), Un bel mattino
(2021)
Martedì 30
gennaio 2024:
ANCHE IO di Maria Schrader, con Carey
Mulligan, Zoe Kazan, Patricia Clarkson, Andre Braugher, Samantha Morton
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