Stagione 2023/2024 | 9 gennaio 2024



MON CRIME

Regia: François Ozon
Sceneggiatura: François Ozon
Fotografia: Manuel Dacosse
Montaggio: Laure Gardette
Interpreti: Nadia Tereszkiewicz (Madeleine Verdier), Rebecca Marder (Pauline Mauléon), Isabelle Huppert (Odette Chaumette), Fabrice Luchini (giudice Gustave Rabusset), Dany Boon (Fernand Palmarède), André Dussollier (signor Bonnard), Édouard Sulpice (André Bonnard), Régis Laspalès (signor Brun), Olivier Broche (Léon Trapu, impiegato), Félix Lefebvre (Gilbert Raton), Franck de la Personne (Pistole), Evelyne Buyle (Simone Bernard), Michel Fau (procuratore Maurice Vrai), Daniel Prévost (signor Parvot), Myriam Boyer (signora Jus), Jean-Christophe Bouvet (Montferrand), Suzanne De Baecque (Céleste), Lucia Sanchez (signora Alvarez)
Produzione: Eric Altmayer, Nicolas Altmayer per Mandarin Cinéma
Distribuzione: BIM Distribuzione
Durata: 102'
Origine: Francia, 2023
Data uscita: 25 aprile 2023

Parigi, anni '30. Madeleine, un'attrice carina, giovane, squattrinata e talentuosa, viene accusata di aver ucciso un famoso produttore. Aiutata dalla sua migliore amica Pauline, giovane avvocatessa disoccupata, viene assolta per legittima difesa. Inizia una nuova vita di fama e successo, finché la verità non viene a galla.
Procedendo al ritmo di un film all'anno, François Ozon non smette di girare e di concimare i generi.
Soltanto ieri firmava “Peter von Kant”, evocazione impertinente del suo idolo, Rainer Werner Fassbinder, e otto mesi più tardi è di ritorno con una commedia che riconfigura il presente col sorriso aperto e la giusta dose di insolenza. Perché quella che avrebbe potuto essere una screwball comedy nostalgica dispiega, al contrario, una vitalità organica che 'suona' le note moderne delle protagoniste. Con “8 donne e un mistero” e “Potiche - La bella statuina”, “Mon Crime - La colpevole sono io” forma una sorta di trilogia ideale, inscrivendosi nella vena più popolare e leggera dell'autore. Un trittico scintillante che condivide lo stesso DNA e gli artifici della rappresentazione scenica, perché il teatro resta la sorgente d'ispirazione maggiore per Ozon, come se la teatralità gli permettesse di celebrare meglio il cinema. Ma “Mon Crime” è altrettanto ossessionato dalla storia del cinema e ritrova lo spirito delle commedie sofisticate dell'età dell'oro hollywoodiana. Una stagione glamour, sublimata tra gli altri da Ernst Lubitsch e Howard Hawks, dove i personaggi si affrontano a colpi di repliche e le donne portano volentieri i pantaloni. Dopo aver 'cantato' la misoginia negli anni Cinquanta, con un vaudeville smisurato e barocco (“8 donne e un mistero”), dopo aver dato una lezione di femminismo sullo sfondo degli anni Settanta (“Potiche”), con una commedia ludica dai colori vintage, ribadisce la gioia insurrezionale di 'eliminare' la figura maschile abusante, o caricaturalmente maschile e arrogante, che nutre il suo cinema dagli esordi (Sitcom).
Comme d'habitude, Ozon va oltre il testo che lo ispira. Mentre le nostre eroine 'prendono la parola' (e la pistola), il film allude a una possibile deriva del potere femminile. Se in “Potiche” era l'avvento della 'supermamma', in “Mon Crime” è la possibilità di raggiungere un fine personale. Il femminismo ostentato non manca di ambiguità, l'emancipazione e la scalata sociale delle protagoniste passano di fatto per le bugie e la manipolazione. Perfidia intrigante di un film che dietro il divertissement e i virtuosismi verbali si rivela più sovversivo di quanto le sue 'buone maniere' lascino intendere.
Marzia Gandolfi, Mymovies.it

Con “Mon crime - La colpevole sono io”, François Ozon compie l’ennesima svolta ad U di una carriera quasi programmaticamente scissa tra autorialità ed istituzione sfornando un’opera che sembra quello di un nuovo “papà”, per dirla alla maniera dei primi Cahiers du Cinema, ovvero una fotografia artistica del dibattito e della società attuale francese che ha la pretesa di aggiungere legna culturalmente progressista alle (lente) trasformazioni in atto. Il soggetto del film è difatti un libero adattamento di una commedia parigina del 1934 di Georges Berr e Louis Verneuil che è stato scelto e rimaneggiato per renderlo pienamente in linea col mood femminista del 2023. La squattrinata attrice Madeleine Verdier (Nadia Tereszkiewicz) viene accusata dell’omicidio del potente produttore che l’aveva aggredita sessualmente promettendole un remunerato ruolo nella commedia finanziata.
Gli indizi (il furto del portafoglio, la sparizione di un’ingente somma e la sua presenza nella lussuosa villa) giocano contro la ragazza ma la sua amica e coinquilina Pauline (Rebecca Marder), avvocatessa alle prime armi e alla canna del gas quanto lei, la difende in maniera spregiudicata contro le robuste accuse messe su dal giudice istruttore (Fabrice Luchini). Le ragazze infatti sfruttano il successo del caso mediatico che si è venuto a creare - oggi come allora un omicidio commesso da una bella donna solletica le fantasie perverse ed allo stesso tempo le paure del patriarcato - riuscendo a farsi assolvere pur avendo dichiarato falsamente di aver commesso il fatto.
La prima riflessione sulla natura arbitraria della Verità e sulla sua spettacolarizzazione è resa, in maniera forse fin troppo evidente, proprio dall’imputata che proclama la natura finzionale della deposizione e di tutte le aule di Giustizia col rifiuto di indossare un vestito viola durante la sua testimonianza perché, come noto, è il colore da evitare durante le prime teatrali. “Mon crime” fa dell’arguzia lubitschiana/wilderiana (quest’ultimo esplicitamente citato: le due amiche vanno al cinema a vedere “Il seme cattivo”) il sostrato che va sia omaggiato che colorato con qualche spruzzata di MeToo attraverso forse l’eccessiva consapevolezza, per il 1935, di cosa avrebbe significato per le donne il suffragio universale. Ecco allora che l’assenza di compassione per il produttore che forse ha avuto un ictus, «aggravato da un colpo di proiettile alla testa» nella battuta più divertente del film, corre sinistramente in maniera parallela alla morte di Jeffrey Epstein, per il quale le cronache hanno accettato con sollievo il suicidio in cella. La scena più esplicativa e meglio riuscita proprio per la natura artefatta del confronto, compiuto su posizioni ciecamente barricadere, è la contrapposizione tra le due arringhe: quella compiuta dalla pubblica accusa titilla le paure del maschio alfa chiedendo una punizione esemplare per evitare che qualunque moglie, amante o sorella possa ribellarsi uccidendo i membri (rigorosamente tutti barbuti) della giuria; quella della difesa fa una chiamata alle armi, fisiche e verbali, a tutte le donne dato che è davvero il giunto di prendersi i diritti negati. Ma è uno dei pochi fuoco d’artificio veri in un film che si contenta di intontire lo spettatore con petardi continui. Così mentre Isabelle Huppert e Fabrice Luchini fanno a gara a chi fa più gazzarra attoriale François Ozon sembra pensare già alla prossima rutilante tappa.
Mario Turco, Sentieri Selvaggi

FRANÇOIS OZON
Filmografia:  
Sitcom (1998), Amanti criminali (1999), Gocce d'acqua su pietre roventi (1999), Sotto la sabbia (2000), 8 Donne e un mistero (2002), Swimming pool (2003), CinquePerDue - Frammenti di vita amorosa (2004), Il tempo che resta (2005), Angel - La vita, il romanzo (2006), Un lever de rideau (2006), Il rifugio (2009), Ricky - Una storia d'amore e libertà (2009),  Potiche - La bella statuina (2010), Nella casa (2012), Giovane e bella (2013), Una nuova amica (2014), Frantz (2016), Doppio amore (2017), Grazie a Dio (2019), Estate '85 (2020), Peter von Kant (2021), È andato tutto bene (2023), Mon Crime - La colpevole sono io (2023)

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