Stagione 2023/2024 | 20 febbraio 2024
TÁR
Regia: Todd Field
Sceneggiatura: Todd Field
Fotografia: Florian Hoffmeister
Musiche: Hildur Guðnadóttir
Montaggio: Monika Willi
Scenografia: Marco Bittner Rosser
Costumi: Bina Daigeler
Interpreti: Cate Blanchett (Lydia Tár), Noémie Merlant (Francesca
Lentini), Adam Gopnik (Adam Gopnik), Marc-Martin Straub (sarto), Egon
Brandstetter (sarto), Ylva Pollak (assistente del sarto), Paula Först
(assistente del sarto), Sylvia Flote (Krista Taylor), Sydney Lemmon (Whitney
Reese), Mark Strong (Eliot Kaplan), Nicolas Hopchet (Aldo), Zethphan D.
Smith-Gneist (Max), Kitty Watson (Olive Kerr), Alec Baldwin (Alec Baldwin -
voce), Jessica Hansen (Jessica Hansen), Nina Hoss (Sharon Goodnow), Mila
Bogojevic (Petra), Alma Löhr (Johanna), Sophie Kauer (Olga Metkina), Allan
Corduner (Sebastian Brix)
Produzione: Todd Field, Scott Lambert, Alexandra Milchan per
Emjag Productions/Focus Features/Living Films/Standard Film Company,
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 158'
Origine: U.S.A., 2022
Data uscita: 3 novembre 2022
Coppa
Volpi per la migliore interpretazione femminile (Cate Blanchett) alla 79.
Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia (2022); Golden Globe
2023 per la miglior attrice in un film drammatico (Cate Blanchett).
Lydia
Tár è universalmente considerata una delle più grandi compositrici e direttrici
d'orchestra viventi e la prima donna direttrice principale di una grande
orchestra tedesca.
Todd Field consegna
un oggetto anomalo, sperimentale e mutaforma che ha senz’altro beneficiato
della presenza ‘a garanzia’ di Cate Blanchett (per cui ha scritto appositamente
il ruolo). La parte iniziale, capolavoro di anticonformismo cinematografico e scrittura,
lascia basiti: sciorina interviste e tecnicismi di settore per un’immersione
totale, anche filosofica, nel lavoro di una direttrice d’orchestra sinfonica
dal riconosciuto talento e con chiara visione della propria art-e (Tár in
anagramma). Dopo averne dimostrata la supremazia, il film la rende portavoce di
un’invettiva contro le ideologie contingenti, quando si scaglia addosso, ad
esempio, alla cancel culture (lo studente che rifiuta Bach) con frasi come «Il
narcisismo delle minoranze porta al conformismo» e «Sei un robot, segui i
social media». A seguire, però, l’aura divina dell’artista s’imbratta di giallo
(la sua implicazione in un suicidio) e il raccontare sembra rivedere le proprie
posizioni, se mai il film avesse voluto essere (anche) una riflessione sulle
storture del politically correct. Per quanto con situazione rovesciata (la
protagonista donna e lesbica: ma non bisogna fare distinzioni di sesso, come
afferma Tár durante un’intervista), parte il j’accuse sull’abuso di potere, con
i suoi ricatti sessuali, nel mondo dello spettacolo. La ramanzina iniziale allo
studente diventa mezzo dei media per accusarla nel #metoo: l’ambivalenza di
questa lettura del gesto sarebbe sintomatica, se mai Field avesse avuto
intenzione di riflettere sul senso e la libertà o meno dell’Arte stessa,
distinguendo fra mestiere/doti e pulsioni/azioni private, accusando la
protagonista mentre ne preserva il talento e la capacità di saper giudicare
quello altrui (la giovane musicista russa, lo studente nero). Stupisce, nell’atipicità
del tutto, anche la parte finale in cui, a rotta di collo ingiustificata
(rispetto al pregresso), viene raffigurato (pure ironicamente e spietatamente)
il declino della star nelle Filippine di “Apocalypse Now” (il concerto ‘Monster
Hunter’ per cosplayer).
Niccolò
Rangoni Machiavelli, Spietati.it
Lydia Tár (Cate Blanchett) è assolutamente la migliore del suo campo.
Direttrice d’orchestra dallo sguardo duro e penetrante - ma si fa chiamare
maestro -, Lydia Tár afferma con un velo di ironia che non le interessa essere
simbolo di una categoria (donna, lesbica). E alle resistenze di uno studente
che sembra portare avanti le istanze della cancel culture (non volendo suonare
Bach) si scaglia con ancora più rabbia contro la stupidità del dividere l’uomo
e l’artista, del condannare l’arte al posto delle azioni dell’individuo.
Con “In the Bedroom” e “Little Children” il regista Todd
Field aveva già indagato con spirito riflessivamente polemico - e poetico -
sulla tensione di morte (da intendere anche in senso lato, come morte delle
certezze dell’Io) che aleggia nelle tranquille comunità periferiche. Ora quel
senso di ambiguità morale, per cui il male non esiste mai come un assoluto, si
espande con una forza ancora più dura al mondo intero.
“Tár” è un film potente e complesso proprio per la sua capacità
di produrre discorsi acuti sulla contemporaneità più scottante: siamo intorno e
al tempo stesso oltre il #metoo, che è solo la superficie. Todd Field esplora
infatti le implicazioni del potere in un senso più ampio, usando una dinamica
coercitiva specifica (quella sessuale) per parlare di autorevolezza e autorità,
due concetti che bussano alla porta nel momento in cui un’accusa sembra già una
prova di colpevolezza, mettendo a dura prova la moralità di chi guarda.
Dal punto di vista strutturale il film è l’indagine su un personaggio e
le sue sfumature: seguiamo Lydia Tár mentre si prepara per un importante
concerto in cui riadatterà la Quinta sinfonia di Mahler a Berlino, scontrandosi
con un mondo non tanto artistico quanto professionalmente spietato, che tra
favori, pulsioni, ambizioni di potere e un cinismo arrogante rende qualsiasi
discorso sulla musica un discorso politico e morale. Cate Blanchett è
spaventosamente calata nel personaggio, indimenticabile non solo per la
micromimica e l’intensità delle sua interpretazione, ma soprattutto per i
lunghi monologhi e dialoghi in cui dà sfogo con un acume quasi terrorizzante
(sì, Lydia è un antieroe) alle sue convinzioni al tempo stesso sempre
convincenti e sempre discutibili.
Disseminato da elementi thriller e visionari, “Tár” usa il suono
come irrinunciabile evocatore di fantasmi e insicurezze. La musica fa qui da
padrona tra tutti i sensi, non solo perché ne siamo circondati, ma anche perché
viene anche usata nella declinazione di rumore o suono ambientale per creare
ulteriori strati di significato a ciò che vediamo. Tutto questo apparato
sensoriale, aiutato dal montaggio, contribuisce a rendere la Berlino in cui è
ambientata, i suoi spazi chiusi, larghi ma vuoti (come le case di Lydia, i
teatri, i ristoranti) un’eco ulteriore di una miseria dell’animo della
protagonista, sola in un mondo di spettri (le sue stesse pulsioni e idee) che
la perseguitano ovunque vada.
Todd Field, con la forza di una regia ipnotizzante, circonda sempre il
suo soggetto osservandolo lungo il delicato confine che divide l’osservazione
dalla presa di posizione. In questo modo non solo compie un atto
cinematografico raffinato, ma ha anche il coraggio di rendere questa ambiguità
la sua stessa risposta. La risposta è allora forse la bellezza stessa
dell’arte, tanto sublime quanto qui corrotta dall’umano: in Lydia Tár convivono
entrambi gli estremi. Capace di meschinità e bassezze ma anche di un ingegno
creativo e di una visione artistica impressionante.
La realtà è questa, facciamocene una ragione. L’arte è un’altra cosa.
Bianca Ferrari, BadTaste.it
TODD FIELD
Filmografia:
Once and again
(1999), In the bedroom (2001), Little children (2006), Tár
(2022)
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