Stagione 2023/2024 | 12 marzo 2024
HOLY SPIDER
Regia: Ali Abbasi
Sceneggiatura: Ali Abbasi, Afshin Kamran
Bahrami
Fotografia: Nadim Carlsen
Musiche: Martin Dirkov
Montaggio: Olivia Neergaard-Holm
Scenografia: Lina Nordqvist
Costumi: Hanadi Khurma
Suono: Rasmus Winther Jensen
Interpreti: Alice Rahimi (Somayeh),
Diana Al Hussen (figlia di Somayeh), Soraya Helly (Zari Khanum), Mehdi
Bajestani (Saeed), Zar Amir Ebrahimi (Arezoo Rahimi), Hazem Elian (tassista),
Arash Ashtiani (Sharifi), Sohaib Qista (Gholam), Forouzan Jamshidnejad (Fatima),
Maryam Taleb (Khadijeh), Salma Alabed (Zahra), Sina Parvaneh (Rostami), Ariane
Naziri (Soghra), Mesbah Taleb (Ali), Marie-Jo Khojandi (prostituta anziana),
Nima Akbarpour (giudice), Haidar Qaraeen , Jawdat Saleh (anziani in
panetteria), Firouz Agheli (Haji)
Produzione: Jacob Jarek, Sol Bondy per
Profile Pictures/One Two Films/Nordisk Film Production/Wild Bunch/Why Noy
Production
Distribuzione: Academy Two
Durata: 115'
Origine: Danimarca, Germania,
Francia, Svezia, Giordania, Italia, 2021
Data uscita: 16 febbraio 2023
In
concorso al 75. Festival di Cannes (2022); premio alla migliore interpretazione
femminile (Zar Amir Ebrahimi).
Il
padre di famiglia, Saeed, intraprende la sua missione religiosa:
"ripulire" la santa città iraniana di Mashhad dalle prostitute di
strada immorali e corrotte. Dopo aver ucciso diverse donne, diventa sempre più
disperato per la mancanza di interesse pubblico nella sua missione divina.
Il velo delle donne iraniane, in “Holy
Spider”, è un’oggetto emblematico, quasi dotato di una sua gestualità: cade
inavvertitamente, è protezione, indice di appartenenza e soppressione
ideologica, confine tra spazio pubblico e privato, ma soprattutto arma letale,
oggetto di strangolamento, firma mortifera seriale. Inoltre, ispirato a fatti
realmente accaduti da più di due decadi, “Holy
Spider” trova nel velo il riferimento oggettuale che rende la sua storia
tristemente attuale, dato che l’uscita del film (presentato a Cannes in
concorso) ha preceduto di poco le proteste successive all’uccisione di Masha
Amini, ventiduenne iraniana morta per mano della polizia, a causa di una ciocca
di capelli refrattaria alla copertura dell’hijab. Insomma, l’eco del passato
prossimo colto da “Holy Spider”
conferisce alle sue vicende una nota di anacronistica e potente simultaneità
che Ali Abbasi non cavalca con sentimentalismi o facili slanci emotivi. “Holy Spider” è un film asciutto e
compostamente indignato, che non consente lacune o spazi bui.
Siamo all’inizio del millennio; un padre di famiglia, muratore, veterano
di guerra, vagabonda per la città iraniana di Mashhad, uccidendo prostitute in
nome di Allah, professandosi redentore della città, del tempo in cui vive, del
futuro dei suoi figli. Inoltre, annuncia i suoi omicidi alla stampa, è
impaziente di titoli su sé stesso nei quotidiani, rimpiange di non essere diventato
un martire durante la guerra. È raccontato da un approccio osservativo che pur
non replicando l’originalità di “Border”
ne ricalca la trasparenza nel delineare l’essere umano e il suo rapporto con il
male in chiave sociologica. Conosciamo il colpevole dall’inizio, lo cogliamo in
tutta la sua paradossale doppiezza omicida e abitudinaria: il whodunnit è
dunque sabotato in partenza, in favore di una profonda immersione alla radice
culturale e psicologica della violenza del personaggio. In questo thriller
cupo, la ricerca del colpevole si impernia sul futuro, alla stortura
socioculturale che si tramanda di generazione in generazione. Gli omicidi si
ripetono, seguono la stessa partitura gestuale, la stessa morbosa
orchestrazione seriale, tanto che il racconto assume tratti catalogatori.
Allo stesso modo, la costruzione della traiettoria di Rahimi, la
giornalista investigativa interpretata da Zar Amir Ebrahimi, vincitrice del
premio per la miglior interpretazione femminile a Cannes, è progressiva e
costante. Il suo personaggio sonda le ombre dei meccanismi di potere, il
maschilismo delle autorità e la malevola indifferenza dell’istituzione politica
e religiosa. È un controcampo opposto e speculare al personaggio di Saeed, uno
sguardo interno da reportage, non risolto dalla mera conclusione investigativa
che, gradino dopo gradino, arriva ad una conclusione amara. L’alternanza delle
due linee narrative è volutamente priva di ambiguità, piana nel comporre i
pezzi di un incontro preannunciato. Perché il nucleo di “Holy Spider” non è l’atto violento, ma la sua origine sociale e
culturale, non il male quanto la sua contagiosità, come dimostra il raggelante
reenactment infantile dei modus operandi dell’omicida, indizio di una
redenzione forse impossibile, e attestazione della severità di questo film
raggelante nella sua trasparenza.
“Holy Spider” è un’opera che
mostra tutto: la misoginia come istanza culturale, Il dogma fondamentalista
come precetto politico, concetto superiore alla legge e alla vita stessa. È un
film attento a cogliere il trauma nel modo più rotondo e profondo possibile,
tanto da sacrificare il ritmo thriller in favore della restituzione formale
della durezza di ciò che racconta. Ma se può risultare elementare nella
costruzione, rimane complesso e abissale nel delineare l’essere umano.
Matteo Bonfiglioli, Cineforum
Abbasi si era fatto notare nel 2018 con il film svedese “Border”, mentre qui torna ad avere a che
fare con l'Iran che gli ha dato i natali. Proprio all'epoca dei fatti, Abbasi
stava per lasciare il suo paese e iniziare il percorso che l'avrebbe portato a
stabilirsi in Svezia e poi in Danimarca. La storia di Saeed Hanaei, che fu poi
catturato e giustiziato, è rimasta nota per la trasparenza e l'apertura con cui
l'uomo rivendicò i suoi propositi omicidi, e per l'assurdo supporto che i suoi
proclami religiosi gli garantirono presso una parte dell'opinione pubblica.
Abbasi omaggia questo aspetto di auto-evidenza della storia, spogliando
la mitologia cinematografica del serial killer di ogni mistero: il suo Saeed è
protagonista del film da subito, tanto quanto l'eroina Rahimi che gli dà la
caccia, e prima che i rispettivi sentieri entrino in rotta di collisione c'è
tutto il tempo di sviscerare la figura di un uomo tormentato dai traumi della
guerra, insoddisfatto della direzione della sua vita, e carismatico nel
guadagnarsi l'approvazione della moglie e del figlio prima ancora che degli
altri cittadini di Mashhad, pronti a scagliarsi contro il basso valore morale e
il cattivo esempio delle prostitute uccise.
Una dualità, quella delle sofferenze domestiche - a tratti patetiche -
di un uomo piccolo che sembra poi farsi minaccioso assorbendo l'energia
misogina che si respira in strada, che è frutto del grande lavoro di Mehdi
Bajestani, in un ruolo difficile non soltanto dal punto di vista
cinematografico. Il film lo incornicia spesso sulla moto, per strade che
dovrebbero essere in Iran ma che invece sono state ricreate in Giordania (dove
è più facile girare senza scendere a compromessi), e i cui fondali vengono spesso
resi più morbidi dal fuori fuoco.
Abbasi conosce l'importanza di una regia d'effetto, e lavora in modo
impeccabile sulla fotografia e soprattutto sulle musiche, poco legate al luogo
e che dunque contribuiscono al paradosso di una storia ultra-specifica nel
contenuto ma al tempo stesso ibrida e non del tutto identificabile nella forma.
Agli antipodi della precisione estrema di Fincher e del suo “Zodiac”, questo film di serial killer
intriga attraverso l'ambivalenza, le cose che non dovrebbero essere, e quelle
che non sono ciò che aspettavamo.
Tommaso Tocci, MyMovies.it
ALI ABBASI
Filmografia:
Border - Creature di confine (2018),
Holy Spider (2021)
Martedì 19 marzo 2024:
MIXED
BY ERRY di Sydney Sibilia, con Luigi D'Oriano, Giuseppe Arena, Emanuele
Palumbo, Fabrizio Gifuni, Francesco Di Leva
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