Stagione 2023/2024 | 23 aprile 2024
PETER VON KANT
Regia: François Ozon
Soggetto: libero adattamento del film
“Le lacrime amare di Petra von Kant”
di Rainer Werner Fassbinder (1972)
Sceneggiatura: François Ozon
Fotografia: Manuel Dacosse
Musiche: Clément Ducol
Montaggio: Laure Gardette
Scenografia: Katia Wyszkop
Costumi: Pascaline Chavanne
Suono: Julien Roig
Interpreti: Denis Ménochet (Peter),
Isabelle Adjani (Sidonie), Khalil Ben Gharbia (Amir), Hanna Schygulla
(Rosemarie), Stefan Crepon (Karl), Aminthe Audiard (Gabrielle)
Produzione: François Ozon per Foz Sas
Distribuzione: Academy Two
Durata: 85’
Origine: Francia, 2021
Data uscita: 18 maggio 2023
In
concorso al 72. Festival di Berlino (2022).
Peter
von Kant è un regista di successo che vive da solo col suo assistente Karl, sul
quale esercita un dominio assoluto. La famosa attrice Sidonie, sua amica e musa
ispiratrice, gli fa conoscere il bellissimo Amir, un giovane di umili origini e
senza prospettive. Peter se ne innamora e proponendogli di trasferirsi da lui
con la promessa di un futuro di successo nel cinema. Inizia così una relazione
che diventa ben presto fonte d'immensa sofferenza per Peter, i cui sentimenti
vengono maltrattati dal giovane, nel frattempo rivelatosi un approfittatore
cinico e superficiale.
Dopo (……) “Gocce d’acqua su pietre
roventi”, Ozon torna a confrontarsi con il mito di Fassbinder. Ma lo fa con
una consapevolezza e un approccio totalmente diversi. “Peter Von Kant”, presentato in apertura alla Berlinale 2022 e da
oggi in sala, dichiara fin da subito, con una didascalia iniziale, la sua
volontà di omaggiare Fassbinder. Ma, ancora prima degli evidenti riferimenti a “Le lacrime amare di Petra Von Kant”,
ricalca la locandina di “Querelle”,
opera postuma del regista tedesco, a evidenziare fin da subito che si tratta di
un omaggio a 360° gradi, non solo al film originale da cui Ozon mutua titolo e
trama, assurto a capolavoro archetipico dell’intero cinema di Fassbinder, ma
all’intero suo corpus, cinematografico e umano. Ozon rilegge in chiave maschile
il film del 1972, senza però mettere mano alla storia e all’ambientazione.
Siamo sempre a Colonia nel 1972, e la scena si svolge per la quasi
totalità del film all’interno dell’abitazione di Peter, a ricalcare
l’impostazione teatrale del film di Fassbinder, tratto da una sua stessa pièce.
Peter non è più stilista, ma - guarda caso - un regista di successo mondiale,
che vive isolato nel suo appartamento dopo una delusione amorosa, con il suo
assistente Karl, che subisce in silenzio le continue vessazioni in nome di una
totale devozione al genio idealizzato di Von Kant. Le uniche aperture verso
l’esterno sono Sidonie, a cui Isabelle Adjani dà corpo e voce, in una sorta di
auto rappresentazione sullo schermo, e Amir, giovane e bello, per cui Peter
perderà la testa in un amore folle che lo condurrà all’autodistruzione.
“Peter Von Kant” è una vicenda
che ricalca la biografia dello stesso Fassbinder, che al tempo sublimò nei
tormenti di Petra la travagliata storia d’amore con Günther Kaufmann. E che
Ozon, come un archeologo, dissotterra, riporta alla luce, chiarifica e spoglia
di ogni metafora. Ecco allora che una scelta apparentemente in controtendenza,
quasi reazionaria, come il passaggio dal femminile al maschile operato da Ozon,
si svela subito come un omaggio al Fassbinder uomo e alla sua storia personale,
fatta di carne, passioni e lacrime amare. A partire proprio dal physique du
rôle del suo protagonista, Denis Ménochet, che ricalca i tratti del cineasta
tedesco, i movimenti, il modo di vestire, cementati, fuori da ogni possibile
interpretazione, dalle immagini dello stesso Fassbinder in chiusura. Ozon
costella il film di citazioni, omaggi e riferimenti che i più attenti si
divertiranno a riconoscere come easter eggs più o meno evidenti, e intreccia
alla trama di finzione la biografia del suo idolo.
Ma a dispetto della cifra più evidente, quella del tributo, di questo
piccolo film, sarebbe riduttivo circoscrivere il lavoro di Ozon al mero intento
celebrativo. Davanti all’evidenza di non poter eguagliare in nessuna misura la
grandezza del cineasta tedesco, non resta che deviare e dare libero sfogo alle
proprie inclinazioni. Ozon allora mette in scena tutti i propri stilemi, in una
rilettura estremamente consapevole della propria natura e del proprio gusto,
che mai tenta di porsi allo stesso livello dell’originale, in un film capace di
non tradire mai sé stesso, ancor prima di preoccuparsi di rimanere fedele al
modello di riferimento. Ecco allora che il melò lascia il posto al grottesco,
il dramma al kitsch, alla saturazione emotiva, ad uno stile rococò tipicamente
francese che scalza con ironia il nichilismo tedesco. E lo fa attraverso una
riflessione metacinematografica in cui il cinema parla a sé e di sé. E in cui
la conoscenza, e dunque l’amore, passa attraverso l’immagine, la pellicola
impressa, che diviene film o fotografia. Che mitizza e rende immortali, certo,
ma che va infine necessariamente distrutta, data alle fiamme, per riaffermare sé
stessi con rinnovata consapevolezza. Ozon glorifica il mito per poi ucciderlo,
riscriverlo, dissacrarlo, e così liberarlo - e liberarsi - dal suo stesso
giogo. Jeder tötet was er liebt. Ogni uomo uccide le cose che ama.
Chiara Zuccari, Sentieri Selvaggi
Ozon rilegge ‘al maschile’ “Le
lacrime amare di Petra Von Kant” di Rainer Werner Fassbinder, che
cinquant’anni fa adattò per lo schermo una sua pièce teatrale, ma sposta la
scena dal mondo della moda a quello del cinema, chiamando Hanna Schygulla, che
nel film originale interpretava il distruttivo oggetto del desiderio, a vestire
i panni questa volta della madre del protagonista. Film di apertura della
72esima Berlinale, “Peter Von Kant”,
un melò sui rapporti di potere, dove la passione spalanca le porte a un vero e
proprio gioco al massacro, mescola lacrime, sorrisi e risate (Crépon nei panni
del povero “servo” devoto e calpestato suscita momenti di vera e propria
ilarità) e apre letteralmente il sipario su un personaggio “larger than life”
acceso dal desiderio e pronto a rimettersi pericolosamente in gioco. Certo, non
c’è in Ozon la sgradevolezza di Fassbinder che tra lacrime e sangue, sperma e
sudore, gridava in faccia alla borghesia la propria diversità. Il regista
francese fa parte di un altro mondo, politicamente più addomesticato,
culturalmente “riconciliato”, ma per il pubblico di oggi la sua personale
rilettura resta intrigante, animata da sincera ammirazione per il maestro,
sapientemente orchestrata e perfettamente interpretata.
Alessandra De Luca, Ciak
FRANÇOIS OZON
Filmografia:
Sitcom (1998), Amanti criminali (1999), Gocce
d'acqua su pietre roventi (1999), Sotto la sabbia (2000), 8 Donne
e un mistero (2002), Swimming pool (2003), CinquePerDue -
Frammenti di vita amorosa (2004), Il tempo che resta (2005),
Angel - La vita, il romanzo (2006), Un lever de rideau (2006), Il
rifugio (2009), Ricky - Una storia d'amore e libertà (2009), Potiche - La bella statuina (2010),
Nella casa (2012), Giovane e bella (2013), Una nuova amica
(2014), Frantz (2016), Doppio amore (2017), Grazie a Dio
(2019), Estate '85 (2020), Peter von Kant (2021), È andato
tutto bene (2023), Mon Crime - La colpevole sono io (2023)
Martedì 7 maggio 2024:
RAPITO di Marco
Bellocchio, con Enea Sala, Leonardo Maltese, Paolo Pierobon, Fausto Russo
Alesi, Barbara Ronchi, , Filippo Timi
Commenti
Posta un commento