Stagione 2024/2025 | 12 novembre 2024
THE OLD OAK
Regia: Ken Loach
Sceneggiatura: Paul Laverty
Fotografia: Robbie Ryan
Musiche: George Fenton
Montaggio: Jonathan Morris
Costumi: Jo Slater
Scenografia: Fergus Clegg
Interpreti: Dave Turner (TJ
Ballantyne), Ebla Mari (Yara), Claire Rodgerson (Laura), Trevor Fox (Charlie),
Chris McGlade (Vic), Col Tait (Eddy), Jordan Louis (Gary), Chrissie Robinson
(Erica), Chris Gotts (Jaffa Cake), Jen Patterson (Maggie), Arthur Oxley (Archie),
Joe Armstrong (Joe), Andy Dawson (Micky), Maxie Peters (Tommy), Rosa
Crowley-Bennett, Bobby Beldrum (sostenitori del sindacato), Amna Al Ali
(Fatima), Yazan Al Shteiwi (Bashir), Diyaa Al Khalid (Salim), Rahaf H (Nadia),
Neil Leiper (Rocco), Micky McGregor (agente immobiliare), Rhys Mcgowan, Reuben
Bainbridge, Jack Staples (proprietari di chopper), Ruby Bratton (Linda),
Michelle Bell (Molly), Alex White (Max), Debbie Honeywood (Tania), Mandy
Foster, Joanne Hague Debbie Cook (parrucchieri), Chris Braxton (Sadie ), Jake
Jarratt (Tony), Ali Mohamed (ragazzo siriano in video)
Produzione: Rebecca O'Brien
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 113’
Origine: Regno Unito, Francia,
Belgio, 2023
Data
uscita:
16 novembre 2023
Il futuro dell'ultimo
pub rimasto, The Old Oak ,in un villaggio dell'Inghilterra nord-orientale, dove
la gente sta lasciando la terra mentre le miniere sono chiuse. Le case sono
economiche e disponibili, il che la rende un luogo ideale per i rifugiati
siriani.
Forse il mondo non è un posto poi così di merda dove
vivere. Anche se tutto sembra andare storto in una cittadina mineraria del Nord
dell’Inghilterra pieno di barriere neanche troppo invisibili e porte chiuse
come quelle delle case dei residenti che hanno paura che cambi qualcosa ogni volta
che si affacciano fuori di casa o quella del pub gestito di TJ dove c’è una
zona che non si può usare. C’è già una netta separazione tra il dentro e il
fuori già all’inizio del film con il vetro del pullman che divide un gruppo di
persone immigrate in fuga dalla guerra in Siria e i residenti che non ne
vogliono sapere di accoglierli. Ed è un po’ la stessa linea di separazione che
divide il cittadino dalla burocrazia infernale dell’amministrazione britannica
come nel caso del falegname costretto a ricorrere all’assistenza sociale in “Io, Daniel Blake” o le nuove condizioni
lavorative dove le persone arrivano ad arrivare fino a 14 ore al giorno in “Sorry We Missed You”. Ken Loach e il
fedele sceneggiatore Paul Laverty ripartono proprio da lì. Il luogo dove si
svolge la vicenda, ambientata nel 2016, è un altro posto di conflitti. La ‘k’
dell’insegna del pub che deve essere aggiustata mostra già lo stato di
abbandono. Gli abitanti cercano di dare un senso alla loro vita oppure si
rinchiudono ancora più in sé stessi. TJ è il proprietario del pub The Old Oak
frequentato spesso dagli stessi, pochi clienti, da anni. L’arrivo dei profughi
siriani crea subito tensione nel posto. Tra loro c’è anche Yara, una ragazza
che parla benissimo inglese ed è appassionata di fotografia e lega subito con
TJ. Insieme, tra mille difficoltà, cercheranno di rilanciare la comunità locale
organizzando una mensa per i più poveri. Ma gli ostacoli sulla loro strada
saranno molti.
Forse il mondo non è poi un posto così di merda dove
vivere. Ci sono possibili punti d’incontro, dialoghi inaspettati. Ma anche le
persone che si sono frequentate da anni che sono diventate diverse sotto i
nostri occhi e ce ne siamo accorti solo all’improvviso. O anche i ragazzi con i
cani aggressivi che non li controllano. Nel modo in cui è mostrata la morte del
cagnolino c’è tutta l’intimità, il rispetto di un cineasta che sa come e cosa
filmare. Lì c’è il punto di vista esatto e la necessaria distanza. Morale e
umana prima di tutto. Non si vede il modo come è stato ucciso ma solo il suo
urlo di dolore. C’è poi una spiaggia che è il punto-limite. È il luogo di fuga,
di disperazione, ma dove avvengono anche improvvisi miracoli. A 86 anni, per
Ken Loach, un altro mondo non è più possibile. Ogni iniziativa di solidarietà
sembra destinata al fallimento. Per questo “The
Old Oak” è un film durissimo, disperato, dove ogni tanto arriva una buona
notizia (la famiglia di Yara viene a sapere che il padre scomparso è ancora
vivo) ma dove l’umanità è anche cambiata ed è spietata come nel caso del video
con il telefonino girato a scuola e rivisto dai clienti più razzisti del bar. L’indignazione
del cinema di Loach è tale che magare molte volte il suo cinema rischia di
essere schematico nella contrapposizione tra il bene e il male. Però a questo
punto si porta anche dietro tutta la vita e le storie delle persone. Le foto di
Yara e soprattutto quelle appese sulle pareti dei minatori, con il famoso
sciopero del 1984, raccontano molto dei protagonisti, del loro passato e della
storia della cittadina mineraria. E il volto vissuto di Dave Turner nei panni
di TJ può idealmente sovrapporsi con quello di Dave John di “Io, Daniel Blake” e Kris Hitchen di “Sorry We Missed You”. Con un primo piano
su di loro Loach riesce già a raccontare parte della storia del film. In più,
in un dialogo c’è tutto il senso autentico del suo cinema quando Yara sta per
andare a visitare la cattedrale locale che «non appartiene alla chiesa ma agli
operai che l’hanno costruita». Sarà anche semplicistico ma questo è un film che
arriva direttamente, che colpisce duro, che lascia spiragli ma forse non ha
speranza. Lo straordinario finale, tra i più emozionanti di tutto il suo
cinema, è forse un sogno. Di armonia, pace e bellezza, come quello di Don
Giulio in “La messa è finita” quando
si gira dopo la funzione e sorride sulle note di “Ritornerai” di Bruno Lauzi. Si, “The Old Oak” pensa che un altro mondo non è possibile. Ma Loach, in
un film anche di spietati tradimenti, ci fa vedere come dovrebbe essere. Per
questo il finale è un abbraccio verso tutti noi.
Simone
Emiliani, Sentieri Selvaggi
L’ottantasettenne
Ken Loach con “The Old Oak” (“La
vecchia quercia”, nome del pub dove si svolge buona parte del film) racconta le
reazioni di un paesino del Nord dell’Inghilterra, nel 2016, all’arrivo di
alcuni rifugiati siriani.
Chi non sa bene
come considerarli, chi vuol dare loro la colpa della povertà in cui sono
caduti, chi invece cerca di recuperare la vecchia solidarietà operaia e
vorrebbe aiutarli, come fa il proprietario del pub, che mette a disposizione un
locale per favorire l’integrazione. Niente di particolarmente nuovo nella
sceneggiatura molto “lefty”, progressista, di Paul Laverty, storico compagno di
strada di Loach, nemmeno il fatto che la spinta decisiva venga dalle donne, a
cominciare dalla giovane Yara che usa la sua abilità come fotografa per
raccontare i fatti. Ma Loach ha la capacità di rendere tutto appassionante e
coinvolgente: i dialoghi sono un po’ predicatori, ma al regista inglese non
viene mai meno la speranza che i gesti dei singoli possano cambiare in meglio
il corso delle cose. E un gruppo di attori davvero in stato di grazia fa
dimenticare l’eccesso di volontarismo e riesce a emozionare chi sta in sala.
Per chi non ha
smesso di credere in un futuro migliore.
Paolo
Mereghetti, Corriere della Sera
KEN LOACH
Filmografia:
Poor cow
(1967), Kes (1969), Family life (1971), Black Jack (1979), The
gamekeeper (1980), A question of
leadership (1981), Uno sguardo, un
sorriso (1981), Which side are you
on? (1984), Fatherland (1986), L'agenda nascosta (1990), Riff Raff - Meglio perderli che trovarli
(1991), Piovono pietre (1993), Ladybird (1994), Terra e libertà (1995), La
canzone di Carla (1996), The
flickering flame (1997), My name is
Joe (1998), Bread and roses
(2000), Paul, Mick e gli altri
(2001), Sweet sixteen (2002), 11 settembre 2001 (1 ep.) (2002), Un bacio appassionato (2004), Tickets (1 ep.) (2005), Il vento che accarezza l'erba (2006), Chacun son cinéma (1 ep.) (2007), In questo mondo libero... (2007), Il mio amico Eric (2009), L’altra verità (2010), La parte degli angeli (2012), The spirit of ‘45 (2013), Jimmy’s Hall - Una storia d’amore e libertà
(2014), Io, Daniel Blake (2016), Sorry, we missed you (2019), The Old Oak (2023)
Martedì 19 novembre 2024:
PALAZZINA
LAF di Michele Riondino, con Michele Riondino, Elio
Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Gianni D'Addario
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