Stagione 2024/2025 | 19 novembre 2024



PALAZZINA LAF

Regia: Michele Riondino
Sceneggiatura: Maurizio Braucci, Michele Riondino
Fotografia: Claudio Cofrancesco
Musiche: Teho Teardo
Montaggio: Julien Panzarasa
Scenografia: Sabrina Balestra
Costumi: Francesca Vecchi, Roberta Vecchi
Interpreti: Michele Riondino (Caterino Lamanna), Elio Germano (Giancarlo Basile), Vanessa Scalera (Tiziana Lagioia), Domenico Fortunato (Angelo Caramia), Gianni D'Addario (Franco Orlando), Michele Sinisi (Aldo Romanazzi), Fulvio Pepe (Renato Morra), Marina Limosani (Rosalba Liaci), Eva Cela (Anna), Anna Ferruzzo (Pubblico Ministero), Paolo Pierobon (Moretti)
Produzione: Carlo Degli Esposti, Nicola Serra per Palomar/Bravo/Bim Distribuzione con Rai Cinema, in co-produzione con Paprika Films
Distribuzione: Bim Distribuzione
Durata: 99’
Origine: Italia, 2023
Data uscita: 30 novembre 2023

Taranto, 1997. L'operaio Caterino Lamanna vive in una masseria caduta in disgrazia a causa della vicinanza al polo siderurgico e sta per sposarsi con Anna con cui condivide il sogno di andare a vivere in città. Quando i dirigenti aziendali decidono di fare di lui una spia per individuare gli operai di cui sarebbe bene liberarsi, Caterino comincia a pedinare i colleghi con lo scopo di denunciarli. Ben presto, non comprendendone il degrado, chiede di essere collocato anche lui alla Palazzina LAF (acronimo di laminatoio a freddo) il reparto-lager dell'Ilva riservato agli operai "scomodi". Sarà lì che Caterino scoprirà che ciò che credeva un paradiso in realtà è un inferno.
«Quando sono a lavoro mi sento guardato a vista. Se non ci sono i vigilanti, ci sono quelli che noi chiamiamo fiduciari della proprietà. Osservano e riferiscono». Questa è una delle tante testimonianze degli operai Ilva raccolte e contenute negli atti giudiziari del processo "Ambiente svenduto", riportata in un'inchiesta del 2015 della rivista dinamopress.it.
Ancor prima dei processi sul disastro ambientale causato dall’impianto siderurgico di Taranto, alcuni vertici dell’azienda (tra questi anche il presidente Emilio Riva) vennero condannati in primo grado nel dicembre del 2001 per “tentativo di violenza privata”. Nel 1997, infatti, dodici dipendenti (che poi diventarono 70) vennero forzatamente trasferiti in una palazzina inutilizzata dell’impianto, costretti a trascorrere la propria giornata senza fare nulla, senza lavorare. Erano in gran parte i lavoratori più sindacalizzati e, soprattutto, non avevano accettato la proposta aziendale di lavorare con mansioni e qualifiche inferiori a quelle precedenti.
Tra i casi più celebri e citati relativamente al mobbing, la storia della Palazzina Laf viene ora raccontata dall’omonimo film che segna l’esordio alla regia di Michele Riondino, attore - adesso anche regista - tarantino che ci riporta a quel periodo, il 1997 appunto, per dirigere e interpretare un’opera di forte impegno civile, dai connotati vagamente attigui al cinema che fu di Elio Petri, perennemente in bilico tra il dramma, il surreale e il grottesco. Che è poi la commistione di tonalità più idonea per tentare di raccontare una vicenda appunto tanto drammatica quanto surreale: Riondino interpreta Caterino Lamanna, uomo semplice e rude, uno dei tanti operai che lavora nel complesso industriale dell’Ilva.
Quando un dirigente senza scrupoli, Giancarlo Basile (Elio Germano), decide di utilizzarlo come spia per individuare i lavoratori di cui sarebbe meglio liberarsi, Caterino comincia a pedinare i colleghi, a partecipare agli scioperi solo alla ricerca di motivazioni per denunciarli. Con uno stratagemma, poi, riesce ad essere collocato anche lui alla Palazzina Laf: Caterino non ne comprende il degrado (“farsi pagare per non fare nulla” è tutto sommato una prospettiva allettante…), ma lì dentro vengono mandati alcuni dipendenti che non accettano il demansionamento (ingegneri, informatici a cui viene proposto di lavorare come operai) e che, una volta lì dentro, non hanno più alcuna mansione. Se non quella di cercare di far passare il tempo il più velocemente possibile.
Riondino mantiene un buon controllo sull’intero sviluppo della narrazione, si affida a comprimari di livello (da Vanessa Scalera a Paolo Pierobon, da Domenico Fortunato a Gianni D’Addario), chiede a Elio Germano di calarsi negli abiti di questo ominicchio (in un paio di circostanze forse un po’ troppo sopra le righe) che attraverso il potere corrompe per farsi bello agli occhi dei vertici dell’azienda e, a sua volta, il neoregista impersona uno di quei “fiduciari della proprietà” a cui si faceva riferimento sopra: un omuncolo della stessa specie, a ben vedere, convinto di poter trarre benefici personali in qualità di delatore ai danni dei suoi “simili”.
E la cosa interessante è che a differenza di altri film o racconti simili, dove il personaggio “negativo”, l’infiltrato, alla fine muta il suo status agli occhi dello spettatore, “migliora”, qui Riondino non garantisce nessun tipo di risarcimento morale al suo personaggio, anzi.
Un affresco degno di nota, dunque, ben supportato anche dalle musiche di Teho Teardo e arricchito dalla bella canzone di Diodato, “La mia terra”, sui titoli di coda.

Valerio Sammarco, Cinematografo.it

1997. Caterino (Michele Riondino), coscienza sindacale più bassa dello stipendio, sta per sposare la fidanzata Anna mentre deperisce la masseria in cui abita: le pecore muoiono e non cresce più nulla, a ridosso dell’acciaieria inquinante in cui lavora con turni massacranti. Il perfido e untuoso dirigente Giancarlo Basile (Elio Germano) lo corrompe con una promozione a caposquadra e l’auto aziendale: farà la spia, pedinando i colleghi più impegnati e Renato Morra (Fulvio Pepe), un sindacalista troppo impiccione, specie dopo l’ennesima morte sul lavoro. Caterino si fa spostare infine nella Palazzina LAF, che crede il paradiso degli imbucati e dove invece 79 alti impiegati sono sequestrati senza far nulla. LAF, acronimo di “laminatoio a freddo”, era un edificio interno all’acciaieria più grande d’Europa (nata a Taranto nel 1961) nella quale vennero sottoposti a bossing (la molestia psicologica che induce alle dimissioni) gli impiegati più indocili alla ristrutturazione aziendale e alla “novazione” del contratto, declassamento a mansioni operaie di impiegati qualificati, messi così nella situazione di autolicenziarsi per non uscirne pazzi. Riva e altri dirigenti ILVA furono condannati infatti dieci anni dopo dalla Cassazione a lievi pene detentive e al risarcimento per bossing e comportamento antisindacale, anche grazie alle testimonianze dei veri Caterino. Prodotto da Carlo Degli Esposti e Nicola Serra, l’esordio di Riondino (scritto con Maurizio Braucci) è un perfetto “film pol-pop”, come Elio Petri amava denominare il cinema politico popolare: dove la deformazione espressionistica e grottesca di fatti e personaggi accentua l’esattezza millimetrica della ricostruzione storico-politica.
Roberto Silvestri, Film Tv

MICHELE RIONDINO
Filmografia:  
Palazzina LAF (2023)


Martedì 26 novembre 2024:
IL CIELO BRUCIA di Christian Petzold, con Thomas Schubert, Paula Beer, Enno Trebs, Langston Uibel, Matthias Brandt 

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