Stagione 2024/2025 | 26 novembre 2024
IL CIELO BRUCIA
Titolo
originale:
Roter Himmel
Regia: Christian Petzold
Sceneggiatura: Christian Petzold
Fotografia: Hans Fromm
Montaggio: Bettina Böhler
Interpreti: Thomas Schubert (Leon),
Paula Beer (Nadja), Langston Uibel (Felix), Enno Trebs (Devid), Matthias Brandt
(Helmut), Jennipher Antoni (signora Roland), Esther Esche (signora König),
Assunta Hamm (infermiera), Markus Schweiger (patologo), Ralph Barnebeck
(poliziotto), Sven Tarnowski (poliziotto), Mario Fürstenberg (infermiere)
Produzione: Anton Kaiser, Florian
Koerner Von Gustorf, Michael Weber per Schramm Film Koerner & Weber/,
ZDF/Arte
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 102’
Origine: Germania, 2023
Data
uscita:
30 novembre 2023
Orso d'Argento, Gran
Premio della giuria a Christian Petzold al 73. Festival di Berlino (2023).
Due amici vanno a trascorrere alcuni giorni al mare,
sulla costa baltica. Ma non si tratta semplicemente di una vacanza. Leon deve
terminare il manoscritto del suo secondo romanzo, su cui ha parecchi problemi.
Felix, invece, deve lavorare al suo portfolio d’arte. Ma le cose non vanno
esattamente secondo i piani. L’auto si guasta qualche chilometro prima
dell’arrivo. E quando giungono finalmente alla casa di famiglia di Felix, si
rendono conto che c’è un’altra ospite imprevista, Nadja. Per di più, l’area è
minacciata da una serie di incendi.
C’è qualcosa di diverso
in “Il cielo brucia” rispetto ai film
precedenti di Christian Petzold. Sì, la presenza di Paula Beer stabilisce
immediatamente una linea di continuità con “Undine”.
Anche qui ci muoviamo tra le contorte evoluzioni dell’amore, in una storia che
tende a forzare i contorni della realtà, per far appello all’immaginazione e i
simboli, e così raccontare il potere trasformativo del femminile. La dimensione
fantastica qua è meno accentuata, ma la foresta in fiamme e la casa nel bosco
sono pur sempre delle suggestioni astratte. E poi c’è, ancora una volta, la
presenza fondamentale della scrittura, da cui Petzold fa partire una
riflessione sui rapporti tra la vita e la sua rappresentazione (esemplare la
discussione sulla “mancanza d’amore” in Heine). Eppure resta il fatto che, per
gran parte del tempo, si muove su toni piuttosto diversi da quelli soliti del
suo cinema, su una cifra più ironica, di divertimento, a cui contribuisce non
poco l’interpretazione di Thomas Schubert, che regala al personaggio di Leon
una fisicità impacciata, a tratti irresistibile. Su di lui, per tutta la prima
parte del film, Petzold sembra costruire una specie di commedia sentimentale.
Leon è goffo, permaloso, incapace di gestire le cose e le situazioni, di
relazionarsi con l’altro sesso, fino a manifestazioni conflittuali piuttosto
infantili. Insomma, quasi un personaggio maschile alla Hawks, tanto più che ha
un rapporto “complicato” con il sonno, un po’ come Cary Grant in “Ero uno sposo di guerra” o Rock Hudson
in “Lo sport preferito dall’uomo”.
Certo, Petzold non ha
quei ritmi travolgenti, rimane sempre più compassato, alla ricerca di uno scavo
più profondo nella trama delle relazioni. Eppure delinea nuove traiettorie. E
se Undine era una donna passionale, di energie innocenti e brutali, qui Nadja è
una figura femminile più tenera, apparentemente più gioiosa e rassicurante, pur
nelle sue ombre e nei suoi segreti. Un corrispettivo ideale di un protagonista
che, invece, è talmente immerso nella propria dimensione iperurania e così
avvitato su sé stesso, da essere del tutto incapace di rendersi conto di ciò
che gli accade intorno. Costantemente sulla difensiva. È l’accusa che gli
rivolge Nadja, svelando tra le righe, una verità decisiva. Ma anche mettendo
finalmente a nudo i limiti di Leon e della sua vena di scrittore. Per quanto si
possa essere attenti ai propri movimenti interiori, di cosa si può davvero
scrivere se non si è in grado di aprire gli occhi sugli altri e sul mondo?
Allora, tutta la
parabola disegnata da Petzold si rivela un percorso di educazione sentimentale
e di rieducazione alla vita. Che deve passare necessariamente per il travaglio
del negativo, per il picco di discesa. Per la crisi, il dolore, la perdita. Per
quell’istante in cui tutto ciò che sta intorno, prende fuoco e si trasforma in
cenere. Ma, anche nel mostrare il dramma, Petzold non diventa mai tragico.
Mantiene una levità, che passa prima di tutto negli sguardi, negli
atteggiamenti, nel linguaggio dei corpi. E poi, solo poi, nell’esternazioni più
evidenti e nelle parole. La scrittura di Leon riprende corpo e sangue, nel
tornare alla vita. Mentre quella di Petzold si trattiene, rimane un passo
indietro. Lasciando che le cose parlino da sé, tra i silenzi, i pianti e i
sorrisi.
Aldo
Spiniello, Sentieri Selvaggi
Il cinema di
Christian Petzold sembra rigenerarsi periodicamente, come la fenice che dà il titolo
a una delle sue migliori opere.
Cicli legati agli
attori da cui si lascia ispirare, dalla sublime Nina Hoss fino ai lavori
recenti con Franz Rogowski e Paula Beer, ma anche a fiammate tematiche che
hanno visto uno degli autori principali della scuola di Berlino viaggiare
attraverso le epoche e gli stili di racconto, inseguendo amori impossibili tra
le guerre, nelle favole, nel passato-presente, sopra e sotto il mare.
Dotato di un
talento unico nel radicare l'esistenzialismo nella geografia e nella topografia
dei luoghi (mai più precisi che nella vaghezza de “La donna dello scrittore”), il regista si auto-confina stavolta
alle pareti e al giardino di una villetta. Ma quello di “Roter Himmel” rimane un Petzold in movimento, che continua a farsi
guidare da Paula Beer e gli mette alle costole un volto fresco come il
bravissimo austriaco Thomas Schubert, in una storia di giovani intellettuali
che guardano senza vedere e vivono senza sentire. Il suo Leon è l'avatar giusto
per stare allo scherzo in quella che in larga parte funziona brillantemente
come una commedia leggera, di equivoci e goffaggini, di convivenze da incubo
tra personalità molto diverse in vacanza nella stessa casa.
La leggerezza
recente di Petzold c'era già in “Undine”,
e anche stavolta si lascia contagiare progressivamente da una malinconia e una
riflessione autoriale che tagliano in profondità. C'è dell'ironia e
dell'autoironia nello scrittore Leon, che dice di no a tutto per lavorare ma
poi non riesce a finire il suo romanzo, che si sente più importante degli altri
ma si lascia distruggere con disarmante facilità da ogni feedback negativo. La
presa in giro bonaria evolve in punta di penna, quella abitualmente squisita di
Petzold, e diventa una piccola parabola estiva di amara consapevolezza. Alla
fine del percorso, che ha visto invaghimenti difficili da confessare,
risentimento e gelosia repressa («In my mind we're going to live free and live
wild» cantano gli austriaci Wallners nella bella canzone che fa da motivo al
film), l'educazione sentimentale del giovane artista richiederà esami ancora
più impegnativi: tra la terra che brucia e il mare che brilla, in cattedra c'è
Petzold che è maestro nell'evocare la tragedia e il romanticismo più profondi a
un centimetro dal reale.
Tommaso
Tocci, Mymovies.it
CHRISTIAN PETZOLD
Filmografia:
Lo stato in cui vivo
(2000), Gespenster (2005), Yella (2007), Jerichow (2008), Etwas
Besseres als den Tod (2011), La
scelta di Barbara (2012), Il segreto
del suo volto (2014), La donna dello
scrittore (2018), Undine - Un amore
per sempre (2020), Il cielo brucia
(2023)
Martedì 3 dicembre 2024:
GREEN BORDER di Agnieszka Holland, con Behi Djanati Ataï,
Agata Kulesza, Jalal Altawil, Maja Ostaszewska, Tomasz Wlosok
Commenti
Posta un commento