Stagione 2024/2025 | 3 dicembre 2024
GREEN BORDER
Titolo originale: Zielona granica
Regia: Agnieszka Holland
Sceneggiatura: Agnieszka Holland, Gabriela
Lazarkiewicz-Sieczko, Maciej Pisuk
Fotografia: Tomasz Naumiuk
Musiche: Frédéric Vercheval
Interpreti: Jalal Altawil (Bashir), Maja Ostaszewska (Julia),
Behi Djanati Atai (Leïla), Tomasz Wlosok (Jan), Al Rashi Mohamad (nonno), Dalia
Naous (Amina), Monika Frajczyk (Marta), Jasmina Polak ('Zuku'), Maciej Stuhr (Bogdan),
Agata Kulesza (Basia), Michal Zielinski (Sasza), Aboubakr Bensaihi (Ahmed),
Joely Mbundu (donna somala), Malwina Buss (Kasia), Piotr Stramowski (Maciek),
Marta Stalmierska (Ula), Sandra Korzeniak (medico in ospedale), Magdalena
Poplawska (moglie di Bogdan), Talia Ajjan (Ghalia), Taim Ajjan (Nur), Sebastian
Svaton (Mahir)
Produzione: Fred Bernstein, Agnieszka Holland, Marcin
Wierzchoslawski per Metro Films/Astute Films
Distribuzione: Movies Inspired
Durata: 147’
Origine: Repubblica Ceca, Polonia, Francia, Belgio, 2023
Data uscita: 8 febbraio 2024
Premio speciale della giuria alla 80. Mostra
Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (2023).
Tra Bielorussia e Polonia, nelle insidiose foreste
paludose che costituiscono il cosiddetto “confine verde”, i rifugiati si
trovano intrappolati in una crisi geopolitica cinicamente architettata dal
dittatore bielorusso Aljaksandr Lukašėnko. Sono per lo più fuggitivi,
provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa, che cercano di raggiungere
l’Unione Europea. Pedine di una guerra sommersa, in cui si intrecciano le vite
dell'attivista Julia, della guardia di frontiera Jan e di una famiglia siriana.
In un mondo che sembra
voler dimenticare il significato di alcuni valori, primo fra tutti il rispetto
della persona umana, il film di Agnieszka Holland vuole ricordarci con forza
che laddove il disprezzo umano e l’odio razziale esistono e - ahimè - prosperano,
certi principi vanno difesi e messi in pratica. E con “Green Border” (vincitore alla Mostra di Venezia del Premio speciale
della giuria) la 75enne regista polacca ce ne dà un bell’esempio, ricostruendo
quello che è successo negli ultimi anni nel suo Paese, una Polonia che ai tempi
del film, ambientato nel 2021 con un’appendice finale nel 2023, era guidata dal
governo Morawiecki, esponente del partito di estrema destra PiS (Diritto e
Giustizia), clericale, nazionalista e illiberale. Governo che, prima del cambio
a seguito delle elezioni avvenute in ottobre, ha duramente attaccato l’opera,
spingendo la commissione polacca per gli Oscar a non candidarla nella categoria
miglior film internazionale.
Scegliendo il bianco e
nero (curiosa questa consonanza di stile con “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi, come se per le “tragedie”,
pubbliche o private che siano, il realismo del colore rischiasse di attenuarne
il dramma), il film segue l’odissea di una famiglia di immigrati siriani di cui
facciamo conoscenza su un aereo che li sta portando dalla Turchia alla
Bielorussia: sperano di poter facilmente entrare in Polonia (come hanno loro
fatto credere) dove dovrebbe aspettarli un pulmino per portarli in Svezia da
uno zio, e su cui danno un passaggio anche a un’immigrata afghana, intenzionata
a chiedere asilo politico. Ma arrivati vicini alla frontiera scoprono che la
realtà è ben diversa: taglieggiamenti, false promesse, violenze. Chi sembrava
gentile si rivela un aguzzino mascherato.
Da una parte e
dall’altra dei reticolati che segnano la divisione tra Bielorussia e Polonia, i
soldati dei due Paesi si rivelano cinici predatori: fanno pagare una bottiglia
d’acqua a un prezzo esorbitante, godono nell'infliggere umiliazioni alle
persone e sembrano divertirsi a respingerle ogni volta dall’altra parte del
confine, compiendo ogni nefandezza (per esempio restituire un termos dopo aver
rotto il vetro all’interno così che chi beve si tagli la gola). E se viene da
commuoversi a vedere, nell’abbandono di una terra desolata e inospitale, il
vecchio capofamiglia siriano che cerca di rispettare le regole della preghiera
quotidiana, subito dopo le scene di violenza e inumanità prendono il
sopravvento.
Paladina di un cinema
capace di interrogare lo spettatore, la Holland scandisce il suo film in
diverse parti, per farci conoscere i protagonisti di questa odissea umana.
Così, dopo averci presentato la famiglia che sta vivendo sulla sua pelle il
rimpallo di responsabilità (per usare un eufemismo) tra Polonia e Bielorussia,
entra in campo uno dei militari addetti al servizio di frontiera, proprio
mentre sta assistendo a uno dei briefing sul pericolo che gli immigrati
rappresentano, «terroristi, pedofili e zoofili» per citare il ritratto che
viene loro proposto dalle autorità polacche. E subito dopo, il film passa a
raccontare l’impegno degli attivisti che sfidano i divieti delle autorità per
portare aiuto agli immigrati che vagano nella “zona verde”, quella terra di
nessuno che l’esercito polacco presidia e dove proibisce l’accesso (e che Kasia
Smutniak ha messo al centro del suo bel documentario “Mur”). E così, alternando i punti di vista e approfondendo ora
questa ora quella situazione, spiegando i problemi e raccontando i drammi
(perché la morte finisce inevitabilmente per fare la sua tragica apparizione),
la Holland sceglie di non nascondere il suo punto di vista (ben conscia che
l’«oggettività» non esiste) e di sottolineare il suo sentirsi direttamente
messa in gioco da una politica che la coinvolge prima come cittadina e di
conseguenza come regista. Eppure è proprio questa dichiarata scelta di campo a
offrire allo spettatore gli elementi per capire e interpretare quello che vede
sullo schermo e chiedergli da che parte schierarsi. Come fanno nel finale i
giovani -polacchi e immigrati - che nel nome della musica superano ogni tipo di
barriera. E che il farisaico finale sull’arrivo dei migranti ucraini suggella
senza bisogno di parole.
Paolo
Mereghetti, Corriere della Sera
Fra le foreste e le paludi in cui si perde il confine
fra Polonia e Bielorussia, i corpi dei migranti vengono rimbalzati brutalmente
da un lato all’altro della frontiera spinata, mercificati al pari di armi
politiche nella guerra de facto fra il regime di Lukashenko e l’Unione Europea.
Le parabole di una famiglia di rifugiati siriani, di una guardia di frontiera e
di un’attivista per i diritti umani finiranno per intrecciarsi. Sprofondato in
un bianco e nero tetrissimo, la veterana Agnieszka Holland firma il suo lavoro
più riuscito da molti anni a questa parte. Un film esplicitamente politico, di
sentito impegno civile e morale, che indigna e sostiene la sua portata emotiva
senza cadere nelle trappole del ricattatorio, nonostante il peso di qualche
sottolineatura drammatica e un generoso eccesso di durata. Il “film necessario”
che scuote il festival e la cui urgente attualità non passerà inosservata.
Eddy Bertozzi, Film Tv
AGNIESZKA HOLLAND
Filmografia:
Zdjecia Probne
(1977), Attori di provincia (1979), Un prete da uccidere (1988), Olivier Olivier (1992), Il giardino segreto (1993), Poeti dall'inferno (1995), Washington Square - L'ereditiera
(1997), Il terzo miracolo (1999), Julie walking home (2001), Io e Beethoven (2006), In darkness (2011), Burning Bush (2013), Pokot
(2017), Mr. Jones (2019), Charlatan - Il potere dell'erborista
(2020), Green Border (2023)
Martedì 10 dicembre 2024:
FINALMENTE
L’ALBA di Saverio Costanzo, con Lily James, Rebecca Antonaci,
Joe Keery, Rachel Sennott, Alba Rohrwacher
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