Stagione 2024/2025 | 7 gennaio 2025

 


PAST LIVES

Regia: Céline Song
Sceneggiatura: Céline Song
Fotografia: Shabier Kirchner
Musiche: Christopher Bear, Daniel Rossen
Montaggio: Keith Fraase
Scenografia: Grace Yun
Interpreti: Greta Lee (Nora), Teo Yoo (Hae Sung), John Magaro (Arthur), Moon Seung-ah (giovane Nora), Leem Seung-min (giovane Hae Sung), Yun Ji-hye (madre di Nora), Choi Won-young (padre di Nora), Ahn Min-yeong (madre di Hae Sung), Seo Yeon-Woo (giovane Si), Kiha Chang, Shin Hee-Chul, Jun Hyuk Park (amici di Hae Sung), Jack Alberts (ufficiale CBP), Jane Kim (attrice), Noo Ri Song, Si Ah Jin, Yoon Seo Choi (amici d’infanzia di Na), Hwang Seung-eon (ragazza di Hae-sung), Jojo T. Gibbs (Janice), Emily Cass McDonnell (Rachel), Federico Rodriguez (Robert), Conrad Schott (Peter), Kristen Sieh (Heather), Oge Agulué (guardia di sicurezza)
Produzione: David Hinojosa, Pamela Koffler, Christine Vachon per A24
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 106'
Origine: U.S.A., 2022
Data uscita: 14 febbraio 2024

Nora e Hae Sung, due amici d'infanzia profondamente legati, si separano quando la famiglia di Nora dalla Corea del Sud emigra in Canada. Due decenni dopo si ritrovano a New York, dove vivono una settimana cruciale in cui si confrontano sul destino, l’amore e le scelte che segnano il corso della vita.
Chi siamo? Chi siamo stati? Chi avremmo potuto essere se le strade non si fossero divise? L’opera prima della drammaturga Céline Song (candidata all’Oscar per il Miglior film e la Migliore sceneggiatura originale), riflette in modo non banale su una questione esistenziale tanto basica da rappresentare un grande rischio. La sua scrittura, in cui emerge evidente il mestiere del testo teatrale, e un pensiero formale molto consapevole riescono però a conferire a “Past Lives” un’apparente naturalezza che lo rende un film in cui è facile riconoscersi e al quale, proprio per questo, ci si abbandona con un piacere ovattato e malinconico.
Le intenzioni di Song sono chiare fin dalla prima inquadratura, quando mette in scena frontalmente i tre personaggi del film seduti al bancone di un bar, avvolti in una luce calda e soffusa. Li si vede scambiarsi alcuni sguardi, senza sentire cosa dicono. Al contrario sono due voci fuori campo, spettatori della scena, a fare ipotesi sul legame tra i tre e sulla natura della situazione. La sequenza funziona esattamente come un’apertura del sipario: un’introduzione che attiva la posizione dello spettatore e che dichiara quanto la questione del punto di vista diverrà fondamentale.
Con un salto indietro nel tempo, ci viene allora presentata la storia di Na Young - emigrata appena dodicenne dalla Corea al Canada al seguito dei genitori artisti - e della sua relazione con il compagno di scuola Hae Sung. Le ricadute di questo primo amore innocente e fanciullesco lungo gli anni sono la strada che Song sceglie di percorrere per riflettere sui rapporti, sui sentimenti, sugli accidenti e sulle scelte della vita. Non senza riferimenti autobiografici, il ritratto di Na Young (che Song confida alla magnifica Greta Lee) diventa anche il modo che la regista sceglie per interrogarsi su cosa costruisca l’identità di chi appartiene a più culture, di chi si scopre intimamente guidato da sollecitazioni e retaggi non sempre concordi, non sempre facili da conciliare, non per forza pacificati. Una molteplicità che è una preziosa ricchezza ma anche un’ipoteca complessa da gestire.
Con i toni pacati ma mai anodini della sua scrittura e con le forme eleganti e contemporanee di un cinema estetizzato ma tanto intelligente e misurato da non suonare artificiosamente leccato, Song riesce a trasmettere la complessità di una condizione emotiva, psicologica e culturale. Una complessità che ci parla della memoria atavica ma anche, molto, del nostro tempo, dell’essere fatalisti o al contrario (a volte ottusamente) concentrati nell’azione; di quanto la tecnologia diventata quotidiana possa riscrivere i tempi e gli spazi delle nostre vite e dell’infinità di sguardi che su di esse potremmo portare.
Elaborando l’artificio narrativo classico della molteplicità dei punti di vista e una scrittura che intreccia i tempi e le prospettive in modo mai meccanico, Song si interroga e ci interroga su come si possa diventare spettatori della propria vita - e delle vite degli altri - quando ci si comincia a fare domande. E soprattutto di quali e quante possano essere queste domande, infinite come infinite sono le possibilità delle vite passate (e di quelle future).
Chiara Borroni, Cineforum

In “Past Lives” ci sono due amori e tre vite. Qualcuna è di troppo, qualcuno è fuori posto. Lo spettatore, prima di tutto, chiamato in causa nella prima sequenza di fronte alla scena di una donna seduta al bar tra due uomini (lei è Nora, scrittrice sudcoreana emigrata 24 anni prima in Canada e trasferitasi poi negli Stati Uniti, ed è con il marito americano Arthur e l’amico d’infanzia Hae Sung, venuto da Seoul per incontrarla, e la domanda della voce fuori campo è: «Chi pensate che siano l’una per l’altro?») e poi, a seconda del punto d’osservazione, gli stessi Hae Sung, che è volato da Nora decenni dopo il loro ultimo incontro di persona, quando entrambi erano ragazzini, e l’ultima telefonata via web, quando avevano vent’anni e lei già stava a New York, e Arthur, anche lui scrittore, e terzo incomodo di una storia di cui non sa e non capisce nulla, pur vantando il diritto di sapere e capire. E naturalmente anche Nora, che vive una duplice vita, una reale con Arthur e una ideale con Hae Sung (da ragazzini i due erano troppo piccoli per essere amanti, più avanti troppo distanti per incontrarsi e poi troppo cresciuti per stare insieme…), ed è costretta a sentirsi straniera con se stessa, americana richiamata dalle proprie radici, moglie inseguita dal marito («sogni in una lingua che non riesco a capire», le dice Arthur), amante mancata di una storia inesistente eppure a suo modo sempre possibile. La regista esordiente Céline Song ha concepito “Past Lives” a partire dalla sua stessa vita, e l’ha costruito con una struttura cronologica tradizionale: un flashback avviato dopo l’inizio nel bar, due blocchi cronologicamente separati (il primo con l’infanzia e l’addio di Nora e Hae Sung, il secondo con le loro telefonate online da studenti) e un terzo che chiude il cerchio. La complessità emotiva del film, il suo modo impressionista di piegare a emozioni e sentimenti le conversazioni cariche di non detti e gli spazi realistici e insieme immaginifici di New York, emerge solamente nell’ultima parte, quando finalmente il vuoto alla base delle due storie d’amore, quella vera e quella mancata, si riempie di corpi (vedere come, seduti al bar, Nora e Hae Sung escludono il povero Arthur parlando coreano e dandogli le spalle) e di parole (splendido il dialogo fra i due uomini, che richiama anche per loro il concetto buddhista di in-yun, cioè provvidenza, destino o reincarnazione). Ciò che c’è di troppo, in “Past Lives”, compreso lo stile leccato ed estenuato che ci si potrebbe aspettare da un mélo indie in stile A24, si stempera per fortuna nella finezza di scrittura della parte finale: il peso del «passato che vive», come ha scritto con una bella intuizione Fiaba Di Martino, e dei fantasmi dei tre protagonisti (un amore ideale per Hae Sung, una vita ipotetica per Nora, una distanza incolmabile per Arthur) si materializza nella paura dietro i loro occhi, nel loro abbandonarsi a un destino che lega e separa, che unisce e abbandona, prima di mantenere la promessa di un pianto che alla fine, bellissimo, arriverà.
Roberto Manassero, Film Tv

CÉLINE SONG
Filmografia:  
Past Lives (2022)

Martedì 14 gennaio 2025:
LA SALA PROFESSORI di Ilker Çatak, con Leonie Benesch, Michael Klammer, Leonard Stettnisch, Eva Löbau, Anne-Kathrin Gummich

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