Stagione 2024/2025 | 4 marzo 2025


 

IL GUSTO DELLE COSE



Titolo originale
: La passion de Dodin Bouffant
Regia: Trân Anh Hùng
Sceneggiatura: Trân Anh Hùng
Fotografia: Jonathan Ricquebourg
Montaggio: Mario Battistel
Scenografia: Toma Baqueni
Interpreti: Juliette Binoche (Eugénie), Benoît Magimel (Dodin Bouffant), Emmanuel Salinger (Rabaz), Patrick d'Assumçao (Grimaud), Galatéa Bellugi (Violette), Jan Hammenecker (Magot), Frédéric Fisbach (Beaubois), Bonnie Chagneau-Ravoire (Pauline), Jean-Marc Roulot (Augustin), Yannik Landrein (padre di Pauline), Sarah Adler (madre di Pauline), Mhamed Arezki (principe), Pierre Gagnaire (capocuoco del principe), Clément Hervieu-Léger (ambasciatore del principe), Laurent Claret (medico), Fleur Fitoussi (giovane donna), Chloé Lambert, Anouk Feral, Sarah Viennot, Cécile Bodson, Celine Duraffourg (candidate), Michel Cherruault (Louis), Jean-Louis Dupont (prete)
Produzione: Olivier Delbosc per Curiosa Films/Gaumont/France 2 Cinéma/Umedia*
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 134’
Origine: Francia, 2023
Data uscita: 9 maggio 2024



1885. L’impeccabile cuoca Eugénie lavora da oltre vent’anni per il famoso gastronomo Dodin. Il loro sodalizio dà vita a piatti, uno più delizioso dell'altro, che stupiscono anche gli chef più illustri del mondo. Con il passare del tempo, la pratica della cultura gastronomica e l'ammirazione reciproca si sono trasformate in una relazione sentimentale. Eugenie, però, è affezionata alla sua libertà e non ha mai voluto sposare Dodin. Così, lui decide di fare qualcosa che non ha mai fatto prima: cucinare per lei.
Pentole, tegami, mani rapide che eseguono gesti precisi: la cura per il dettaglio è alla base di “Il gusto delle cose” (“La passion de Dodin Bouffant”). Il vietnamita Trân Anh Hùng, naturalizzato francese, Leone d’Oro a Venezia con “Cyclo” ormai quasi trent’anni fa, costruisce una relazione sentimentale nella Francia di fine Ottocento con gli strumenti della cucina. Dodin (Benoît Magimel, in un ruolo degno della sua stazza) si muove tra i fornelli come un imperatore. Eugénie (Juliette Binoche) segue con abnegazione il suo ruolo da cuoca, forse amante, al servizio di sua maestà.
Hùng compone il suo quadro quasi eliminando la trama, mostrando una relazione come una ricetta: gesti precisi, attenzione maniacale agli ingredienti, amore universale per quel che si crea. Dodin e Eugénie sono una coppia immaginaria, il loro rapporto è scandito da una liturgia destinata a solleticare il palato di altri. Le parole sono poche, sembrano istruzioni. La trama volutamente latita. Ma c’è qualcosa di ipnotico nella preparazione di piatti sempre più complessi, di pietanze sempre più elaborate. La macchina da presa di Hùng si muove sinuosa, sicura, pronta a cogliere ogni momento, ogni increspatura. Magimel e Binoche sottolineano con economia sentimentale un rapporto costruito nel suo farsi, saldato dalla realizzazione di ogni pietanza, solcato da una solidarietà afasica ma intensa. “Il gusto delle cose” si srotola come un menu, alterna i momenti di cucina a quelli di degustazione, assiste alle sentenze del cuoco geniale e le contrappone al piacere dei commensali. Al centro di questa famiglia, a suo modo disfunzionale, irrompe la piccola Pauline, nipote della padrona di casa, che mostra - per la sua età - un vivo interesse e un notevole palato. Il simulacro della famiglia si fonde con quello del talento, l’iniziazione culinaria si mescola con un affetto appena accennato.
Il film usa il cibo come metafora smaccata di una forma di altruismo, di accudimento, di realizzazione personale; ma il suo incedere reiterato, il suo sguardo estatico sanno catturare un senso del cibo quasi mistico, mai legato a un piacere solamente terreno. È la perfezione che si cerca, la sintonia, l’equilibrio assoluto di un benessere sensoriale. Hùng accarezza i suoi attori immergendoli in una luce pittorica, restituisce odori e sapori attraverso un cinema tanto elegante quanto tattile, concreto. Il gusto delle cose è una variazione sul tema dell’amore romantico, colmo di tenerezza umana verso i suoi personaggi, incapaci di mostrare la loro affettività fino in fondo ma, sempre, dediti alla loro vocazione intesa come dono, come ricerca della perfezione, come misura del mondo. Parla di relazioni umane filtrate - montate come una salsa, passate e ripassate, soffritte - da uno sguardo perennemente umbratile, intriso di malinconia. Hùng firma un film labile, a tratti ondivago, ostentatamente ripetitivo, ma che sa mostrare, in maniera obliqua, una diversa e ostinata ricerca della felicità.
Federico Pedroni, Cineforum

Il cinema e la cucina, si sa, rappresentano un connubio che funziona, ma molto spesso le pellicole a tema culinario sono di stampo prettamente commerciale e non si ricordano come esperienze artistiche realmente degne di nota.
Non è il caso de “Il gusto delle cose”, nuovo film di Trân Anh Hùng che è stato premiato al Festival di Cannes 2023 per la miglior regia. Il lungometraggio del regista vietnamita naturalizzato francese, infatti, è un prodotto davvero affascinante, soprattutto per la messa in scena, grazie a scelte raffinate ed eleganti che valorizzano al meglio la storia raccontata.
Ambientato nella Francia della fine del diciannovesimo secolo, “Il gusto delle cose” è incentrato su due personaggi: Eugénie, una cuoca eccezionale, che lavora da diversi anni per il famoso gastronomo Dodin Bouffant. La grande complicità, inevitabilmente presente tra i due, è anche alla base di un forte sentimento amoroso e passionale, soprattutto da parte di Dodin. Lo chef decide di arrendersi all’evidenza e chiede più volte alla sua socia di sposarlo, Eugénie ha sempre rifiutato le sue proposte vedendo nel matrimonio una minaccia per la sua libertà. Per conquistarla, Dodin decide di fare qualcosa che non aveva mai fatto prima: cucinare per lei.
Tratto dal romanzo “La Vie et la Passion de Dodin-Bouffant, gourmet”, scritto dallo svizzero Marcel Rouff nel 1924, “Il gusto delle cose” è un film decisamente anticonvenzionale, dove l’intero ritmo è dettato dai movimenti in cucina e la cinepresa sembra danzare nel seguire i vari cuochi in azione. Tra lunghe inquadrature e dettagli delle preparazioni, il film scorre purtroppo inceppandosi in alcuni momenti a causa di varie prolissità, ma riesce comunque a risultare magnetico e affascinante grazie alla cura generale della regia.
Trân Anh Hùng torna così ai livelli delle sue opere più importanti, quelle che negli anni Novanta l’hanno portato alla candidatura all’Oscar come miglior film straniero (“Il profumo della papaya verde” del 1992) e al Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia (“Cyclo” del 1995). In un’epoca in cui anche i programmi televisivi a tema gastronomico vanno sempre più veloci, “Il gusto delle cose” è un elogio della cucina a fuoco lento, un film che si prende i suoi tempi per mostrare come la combinazione di sapori e colori possa generare delle vere e proprie opere d’arte. In questo melodramma imperfetto (non tutte le parti sono incisive al punto giusto) ma ricco di passione, un vero e proprio valore aggiunto sono i due interpreti principali, Juliette Binoche e Benoît Magimel, che danno vita a un duetto recitativo straordinario e tra i più intensi dell’intera stagione cinematografica.
Andrea Chimento, Il Sole 24 Ore


TRÂN ANH HÙNG
Filmografia:
Il profumo della papaya verde (1993), Cyclo (1995), Solstizio d'estate (2000), I come with the rain (2008), Noruwei no mori (2010), Éternité (2016), Il gusto delle cose (2023)


Martedì
11 marzo 2025:
MARCELLO MIO di Christophe Honoré, con Chiara Mastroianni, Catherine Deneuve, Fabrice Luchini, Nicole Garcia, Melvil Poupaud

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