Stagione 2025/2026 | 28 ottobre 2025
IL TEMPO CHE CI VUOLE
Regia: Francesca Comencini
Sceneggiatura: Francesca Comencini
Fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Francesca Calvelli, Stefano Mariotti
Musica: Fabio Massimo Capogrosso
Interpreti: Romana Maggiora Vergano (Francesca), Fabrizio Gifuni (Luigi), Anna Mangiocavallo (Francesca a 8 anni), Daniele Monterosi (Cesare), Lallo Circosta (Operatore), Giuseppe Lo Piccolo (la volpe - C. Ingrassia), Luca Massaro (il gatto - F. Franchi), Aphrodite De Lorraine (maestra Francese), Luigi Bindi (Andrea - Pinocchio), Daniele Minunno (Lucignolo), Leonardo Giuliani (ragazzo tossico), Luca Donini (Olivier), Marco Belocchi (professore liceo), Laura Borelli (Iole), Massimo Cimaglia (scenografo), Amerigo Cornacchione (padre a 24 anni), Massimiliano Di Vincenzo (capogruppo), Paolo Mannozzi (autista produzione)
Produzione: Simone Gattoni, Beppe Caschetto, Bruno Benetti, Sylvie Pialat per Kavac/Ibc Movie/Oneart/Les Films Du Worso/Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 110’
Origine: Francia, Italia, 2024
Data uscita: 26 settembre 2024
Un padre e una figlia. Il cinema e la vita. L’infanzia che sembra perfetta e poi diventare grandi sbagliando tutto. Cadere e rialzarsi, ricominciare, invecchiare, diventare fragili, lasciarsi andare ma non perdersi mai. Il tempo che ci vuole per salvarsi
Una scelta radicale, di quelle che o accetti o rifiuti, contraddistingue il film di Francesca Comencini (primo lavoro il premiato “Pianoforte”, 1984, ultimo il televisivo “Django”), un biopic di taglio inusuale che diventa qualcosa di più, dato anche il lato autobiografico. Padre e figlia, regista e regista, intellettuale ed extraparlamentare: tre aspetti che si mescolano e che si aprono alla storia del cinema, alla storia sociale, al dramma di scavo psicologico più esacerbato.
Immancabile coppola e basette, Luigi Comencini è qui visto attraverso il rapporto cogente ed esclusivo con la figlia. Accantonati moglie, sorelle, amici, parenti, intimi vari, restano qui solo loro due, nei momenti cruciali di un trentennio scandito da luce, disperazioni, gioie, malattie e naturalmente la pratica del cinema, che è prima di tutto un mestiere da vivere intensamente. Anzi, come esclama il regista (interpretato da un Fabrizio Gifuni che progressivamente, con l'aggravarsi del male, tocca vertici assoluti di introspezione ed espressività minimal) sul set del Pinocchio splendidamente ricreato dalla Comencini, lì bambina e capricciosa comparsa, mentre riprende il suo aiuto che sta sacramentando con alcuni indisciplinati spettatori locali: «Prima la vita, poi il cinema! E se non lo capisci è inutile che lo fai il cinema. Cazzabubbola!».
La vicenda prosegue con relativa linearità dai '60 agli '80 inoltrati, da un'infanzia protetta e già sotterraneamente irrequieta dove gli episodi si fanno magia (e il lato fiabesco surreale ogni tanto tornerà) a un'adolescenza fiammeggiante nei '70, tra fremiti rivoluzionari e il buco nero della droga (nelle classi si applaude al rapimento di Moro, per strada disperati stanno male). La figlia - illuminata dal volto intenso e italiano di Romana Maggiora Vergano - si è fatta introversa, cupa e insicura, tra disegni non finiti inneggianti alla lotta armata e lo sprofondare nell'eroina, mentre il padre manifesta i primi tremori della malattia sino a uno scontro di inusitata asprezza: «Se esci non mi rivedrai più per il resto dei tuoi giorni». «È capire con il corpo: tu ce l'hai ancora un corpo, papà?». Poi Parigi, gli anni tribolati della cura, la progressiva riscoperta della forza di un rapporto sentimentale mai troncato, la via d'uscita nella pratica del cinema, fino a quando la figlia aiuterà il padre (ancor lucido e motivato) sul set di” Il ragazzo di Calabria”.
Come ogni resa dei conti con una parte così fondamentale di sé, l'operazione autobiografica di introspezione estrinsecata ha le sue fragilità e i suoi squilibri di misura, ma spariscono di fronte alla sincerità del tutto e alla bellezza di tante scene. Della ricostruzione dei due film abbiamo già detto, ma aggiungiamo anche la felice scelta stilistica del soffermarsi della cinepresa su piccoli dettagli, su espressioni che paiono quasi rubate, con indubbio effetto suggestivo.
E se poi vi stupiscono i tanti spezzoni di cinema che inframmezzano la visione (tra cui un suggestivo “Pinocchio” del 1911 con Polidor), c'è la spiegazione: sono materiali preziosi che lo stesso Autore recuperò, assieme al fratello Gianni e ad Alberto Lattuada, gettando le basi per la fondazione della prestigiosa Cineteca Italiana di Milano.
Beh, come dice Luigi Comencini/Gifuni: «I film o stanno in piedi o non stanno in piedi”. Questo sta in piedi.
Massimo Lastrucci, Cineforum
Un padre entra nel
laboratorio di ceramica della figlia e la maestra gli consegna la statuetta di
un cane. «L'ha fatto tutto la bambina?», chiede il padre, sorpreso dalla
qualità del manufatto. Quel padre è il regista Luigi Comencini, e in quel suo
dubbio è contenuta l'insicurezza con cui sua figlia Francesca farà i conti per
tutta la vita, nel confronto con un genitore gigantesco per talento, fama e
personalità. Un genitore che per lei ha avuto tempo, ascolto e attenzione, come
l'ha sempre avuto (anche nel suo cinema) per tutti i bambini, ma nel cui cono
d'ombra Francesca si è mossa a disagio, sempre preoccupata di "essere in
campo" al momento sbagliato, contemporaneamente visibile e invisibile ai
propri occhi e a quelli di quel padre ingombrante e venerato. Ci vorrà tanto
tempo, e il passaggio (in ombra, appunto) attraverso alcuni anni difficili,
perché padre e figlia trovino un rapporto meno sbilanciato e conflittuale, e
perché Francesca diventi a tutti gli effetti "collega" di un artista
che ha lasciato il segno nel cinema italiano. L'ottima notizia è che Francesca
Comencini è diventata davvero una regista all'altezza di suo padre, e lo
dimostra proprio con Il tempo che ci vuole, scavando a fondo e con efferata
spietatezza in quel rapporto per lei così centrale e raccontandolo come se le
sue sorelle e sua madre non esistessero. Comencini ricorda "come era
esclusiva la tenerezza che univa" lei e suo padre, e come certi legami
cancellino tutti gli altri intorno, o quantomeno vadano raccontati senza
interferenze, ancorché amorevoli. Ed è significativo, cinematograficamente
parlando, che Francesca sia tornata a raccontare suo padre in forma
direttissima dopo averlo raffigurato in forma traslata in “Le parole di mio padre” come una figura elusiva e autoritaria, appoggiandosi
a Italo Svevo per mettere in scena, timidamente e di sfuggita, il suo rapporto
difficile con il patriarca Luigi. Oggi la consapevolezza adulta, forse anche la
propria esperienza genitoriale, le permettono di affrontare di petto quella
figura paterna che ha adombrato e allo stesso tempo illuminato la sua vita, e
nel farlo la regista e sceneggiatrice riesce a raccontare la bellezza e
complessità del legame fra un padre e una figlia, ma anche il ruolo centrale
che il cinema ha avuto per entrambi, e nell'immaginario di noi spettatori. Il
tempo che ci vuole è infatti attraversato dal cinema, non solo quello di Luigi
e Francesca Comencini, ma anche quello di chi del cinema è stato pioniere, come
Georges Méliès, e di chi l'ha saputo reinventare in Italia, come Roberto
Rossellini.
Paola Casella, Mymovies
FRANCESCA COMENCINI
Filmografia:
Pianoforte (1983), La luce del lago (1989), Le
parole di mio padre (2001), Un altro
mondo è possibile (2001), Carlo
Giuliani, ragazzo (2002), Mi piace
lavorare - Mobbing (2003), Visions of
Europe ("Anna Lives In Marghera") (2004), A casa nostra (2006), In
fabbrica (2007), Lo spazio bianco
(2008), Un giorno speciale (2012), Nuove Terre (2015), Amori che non sanno stare al mondo (2017), Django (2021), Il tempo che
ci vuole (2024)
Martedì 4 novembre 2025:
LE DÉLUGE -
GLI ULTIMI GIORNI DI MARIA ANTONIETTA di Gianluca Jodice, con Mélanie Laurent,
Guillaume Canet, Aurore Broutin, Hugo Dillon, Tom Hudson



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