Stagione 2025/2026 | 4 novembre 2025
LE
DÉLUGE - GLI ULTIMI GIORNI DI MARIA ANTONIETTA
Titolo
originale: Le déluge
Regia: Gianluca Jodice
Sceneggiatura: Gianluca Jodice, Filippo Gravino
Fotografia: Daniele Ciprì
Musiche: Fabio Massimo Capogrosso
Scenografia: Tonino Zera
Interpreti: Guillaume Canet (Louis XVI), Mélanie Laurent
(Marie-Antoinette), Aurore Broutin (Madame Elisabeth), Hugo Dillon (Henri), Tom
Hudson (Manuel), Roxane Duran (Madame de Lamballe), Anouk Darwin Homewood
(Marie-Thérèse), Vidal Arzoni (il Delfino Louis-Charles de France), Fabrizio
Rongione (Cléry), Thierry Barbet (Merceraut), Vincent de Bouard (primo uomo),
Fabrice Eberhard (uomo cieco), Jérôme Chappatte (sacerdote), Jean Franco
(Ministro Garat), Jean-Louis Barcelona (Consigliere Gabeau), Christophe Perez
(Maximilien de Robespierre), Ambre Munié (Aurore), Christophe Favre (uomo con
cane), Martine Demaret (rivoluzionaria anziana), Nicolas Buchoux (Abate Firmont),
Pierre Cévaër (scrofoloso)
Produzione: Matteo Rovere, Andrea Paris, Yann Zenou per Ascent
Film/Quad/Rai Cinema
Distribuzione: BIM Distribuzione
Durata: 100’
Origine: Italia, Francia 2024
Data uscita: 21 novembre 2024
Quando si parla di
Maria Antonietta e Luigi XVI vengono subito alla mente merletti, alte
parrucche, vestiti sgargianti, Versailles oppure la ghigliottina. Tra questi
due estremi, c’è un tempo che nessuno ha mai raccontato: i pochi mesi in cui
gli ultimi re e regina di Francia con i loro due figli vennero incarcerati in
un castello alle porte di Parigi, in attesa di essere giustiziati. Un tempo
breve e condensato, dove tutte le maschere caddero: quella dei due reali come
figure pubbliche e private e quelle della Storia che voltò definitivamente
pagina.
Elegante e raffinato come in
Italia ce ne sono oggi pochissimi. Ma anche emotivamente intenso e
intellettualmente libero: “Le déluge”,
secondo lungometraggio di Gianluca Jodice, ricostruisce circostanze cruciali
della Rivoluzione Francese che tutti conoscono o credono di conoscere eppure
tiene avvinti come un thriller dall’esito imprevedibile perché, nel solco dei
grandi film storici tracciato fra gli altri da Rossellini e Kubrick, non è
tanto importante che cosa stia per accadere, ma come ciò accadrà.
(……) La ricostruzione degli
ultimi giorni di vita di Luigi XVI imprigionato insieme a Maria Antonietta
(peraltro stranamente l’unica a essere citata dal sottotitolo italiano) riesce
nell’impresa di ricostruire la Storia con la consapevolezza del presente ma
senza ridurne per ragioni di polemica contingente la sua infinita complessità.
Se il film, insomma, riesce a istituire connessioni con le attuali sensazioni
di tragico disorientamento, lo fa forgiando lo stile di inquadrature e sequenze
anziché tramite i consueti e rozzi parallelismi. Ispirato dai quaderni raccolti
in “Il prigioniero del Tempio” di
Jean-Baptiste Hanet detto Cléry, la sola persona autorizzata dalla Convenzione
a risiedere alla Tour du Temple durante la prigionia della famiglia reale e
rimasto accanto a Luigi XVI fino al giorno della decapitazione, il film si
divide in tre capitoli, “Gli dei”, “Gli uomini” e “I morti”, ognuno dei quali si avvale di un codice visivo diverso.
Nel primo, i protagonisti Cantet e Laurent esprimono mirabilmente la
stupefazione con cui si ritrovano ridotti dal rango di dei scesi in terra a
quello di cittadini qualsiasi in stato di arresto, mentre la fotografia di
Daniele Ciprì, destinata anche in seguito a esibire potenzialità eccelse,
livella nei meandri dell’imponente palazzo le figure umane, sia quelle dei
monarchi gravati dal peso di accuse tremende, sia quelle dei carcerieri che
imparano a memoria i virulenti comunicati dei rivoluzionari. Nel secondo, il
ritmo si spezza di continuo, la macchina a mano sembra inseguire le posture e
le convulsioni dei corpi e l’impietosa distanza tra vincitori e vinti si
sgretola in uno sconcio travaso d’istinti di vita e di morte. Nel terzo, la
regia rallenta le cadenze entrando in un cono d’ombra che assume le tonalità di
un requiem, mentre tutti i protagonisti sembrano via via spogliarsi di
convinzioni, ruoli, gradi, abiti e orpelli. A questo proposito è doveroso
sottolineare lo strepitoso contributo di Massimo Cantini Parrini, proprio
perché, come accade nei migliori film in costume, quest’ultimo non è un
semplice accessorio decorativo ma fa parte della scenografia, prolunga i gesti
e gli atteggiamenti degli attori e diventa un elemento del racconto che include
un proprio vissuto.
In un film così concentrato e
conciso in cui, cioè, non c’è spazio per divagazioni e didascalie superflue,
trovano posto solo le peculiari metafore che mettono la cinefilia al posto
dell’ideologia come quella della lanterna magica che a un certo punto
intrattiene e consola i bambini oppure quella del labirinto di siepi in cui i
personaggi si muovono quasi per trovare una via d’uscita. Su di un piano
contiguo vanno, in effetti, a disporsi le sensazioni dello spettatore che
eventualmente ricerchino la chiave di lettura del racconto, non a caso
collegata alla frase «Aprés moi, le dèluge», dopo di me il diluvio, attribuita
a Luigi XV ma forse pronunciata in prima battuta da Madame de Pompadour: a
Jodice non interessa inoltrarsi nel dedalo della monumentale bibliografia
disponibile (anche se nessuna narrazione è integralmente neutra e ci sono,
secondo il pensiero sovversivo dello storico François Furet, due maniere per
non comprendere nulla della Rivoluzione: maledirla o celebrarla), ma si limita
a focalizzare gli aspetti più dibattuti e contraddittori della stessa su
quattro aspetti principali: il capo d’accusa contro l’ultimo sovrano assoluto
per diritto divino che si basa in fondo sul solo crimine accertato di essere
stato re, una delle sue timide e solo in apparenza deboli tesi difensive
consistente nella certezza che l’uguaglianza in natura non esista, la tematica
freudiana dell’edipica uccisione del padre e la messa in rilievo delle conseguenze
pratiche della teoria astratta del dominio assoluto della Ragione illuminista.
Il film resta dunque un film, ancorché straordinario come ribadisce la scena
conclusiva, quasi un dipinto d’epoca di David o Delacroix, perplessa e
angosciata in sintonia con i sentimenti dei leader giacobini sulla cui testa
aleggia non solo il crepitio, appunto, di un diluvio, ma anche la paurosa
premonizione che i successori del Terrore saranno il colpo di stato del
Termidoro e il 18 brumaio di Napoleone Bonaparte.
Valerio Caprara
A quattro anni da "Il cattivo poeta", dedicato alla
parte finale della vita di Gabriele D’Annunzio, Gianluca Jodice torna esplorare
le pieghe dei passaggi della storia con attenzione agli aspetti quotidiani che
fanno da sfondo ai grandi avvenimenti di cui si raccontano in genere solo i
momenti chiave.
In questo caso, la riflessione di fondo è
sull’inesorabilità della sorte che coglie gli uomini quando diventano simboli.
E la discesa di Luigi, Maria Antonietta, dei figli e delle persone a loro più
vicine, dalla regalità sfarzosa della corte parigina allo squallore progressivo
del contrappasso, tra stanze spoglie, biancheria sporca e una cattività sempre
più crudele, getta luce su aspetti di quelle “pieghe” in grado di far
riflettere.
Di Luigi scopriamo pian piano l’umanità, l’indole
mite, e con noi la scoprono alcuni dei carcerieri. Ma un simbolo è un simbolo
ed è quel simbolo che viene condannato alla ghigliottina, per ironia della
sorte, resa a lama inclinata anni prima proprio da Luigi XVI, che ricorda nel
film di aver dato quel suggerimento a Monsieur Guillotin.
Guillaume Canet, Mélanie Laurent e il resto del cast
sono elementi chiave per la bella riuscita del film. Ma altrettanto importanti
sono la fotografia di Daniele Ciprì, le scenografie di Tonino Zera, i costumi
di Massimo Cantini Parrini, elementi assemblati da Jodice con equilibrio,
precisione degli intenti, sicurezza, a conferma che il giovane regista, alla
sua seconda prova, è più che mai una risorsa per il nostro cinema.
Flavio Natalia, Ciak Magazine
GIANLUCA JODICE
Filmografia:
Il cattivo poeta (2020), Le déluge - Gli ultimi giorni di Maria Antonietta (2024)
Martedì 11 novembre 2025:
L’UOMO NEL BOSCO di Alain Guiraudie, con Catherine Frot, Felix Kysyl, Jean-Baptiste Durand, Jacques Develay, David Ayala



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