Stagione 2025/2026 | 2 dicembre 2025
DREAMS
Titolo originale: Drømmer
Regia: Dag
Johan Haugerud
Sceneggiatura:
Dag Johan Haugerud
Fotografia:
Cecilie Semec
Musiche:
Anna Berg
Montaggio:
Jens Christian Fodstad
Interpreti:
lla Øverbye (Johanne), Selome Emnetu (Johanna), Ane Dahl Torp (Kristin), Anne
Marit Jacobsen (Karin), Andrine Sæther (Anne), Ingrid Giæver (Frøydis), Lars
Jacob Holm (psicologo), Nadia Bonnevie (Anine), Ella Bothner-By (Jenny),
Brynjar Åbel Bandlien, Valdemar Dørmænen Irgens (Thomas), Silje Breivik
(Elise), Anne-Karen Hytten, Eija Saraneva, Nora Hagstrøm (cercatrici di
funghi), Marja Folde (insegnante), Sari Kader (insegnante), Karina Sjøen
(insegnante di danza)
Produzione:
Hege Hauff Hvattum, Yngve Sæther per Motlys
Distribuzione:
Wanted Cinema
Durata:
110’
Origine:
Norvegia, 2024
Data uscita:
6 marzo 2025
In concorso al 75° Festival di Berlino (2025).
Una studentessa, Johanne, è sempre più emotivamente legata ad una sua
insegnante di scuola che le apre le porte della sua casa e ascolta con premure
le sue domande i suoi pensieri. Affidati ad un diario personale, gli scritti
intimi di Johanne sul suo primo amore creano attriti all'interno della sua
famiglia, spingendo sua madre e sua nonna a riconsiderare le proprie realtà e i
propri sogni, innescando un vivace dibattito tra donne.
Dopo “Sex”, presentato alla scorsa Berlinale, e “Love”, in corsa per il Leone d’Oro a Venezia 81, ecco “Dreams” (nel titolo internazionale si
citano, tra parentesi, anche i precedenti capitoli), con cui Dag Johan Haugerud
chiude la sua trilogia delle relazioni, in Concorso a Berlino 75. Universale,
va da sé, perché il lessico trascende la lingua, ma anche riflesso della
società norvegese, di come un popolo così quieto e apparentemente emancipato
affronta le conseguenze, gli effetti, i contraccolpi dei sentimenti e di ciò
che gira attorno.
Per una buona metà, “Dreams” (in originale “Drømmer”) è un diario illustrato, la
voce di chi lo scrive è dominante, spiega e analizza passaggi narrativi e
paesaggi interiori, si potrebbe rivelare invadente se non ingombrante laddove
non si accetti la precisa intenzione dell’autore. Che è evidentemente quella di
attestare alla protagonista, l’adolescente Johanne, la titolarità del racconto,
creando così un ponte con quella sfera onirica convocata nel titolo e a cui in
qualche modo dobbiamo avere accesso.
Il romanzo di formazione in prima
persona esplode quando Johanne si prende una cotta per la sua insegnante, che
guarda caso si chiama Johanna e sembra instaurare rapporti stretti e intimi con
tutte le altre studentesse attraverso lezioni di maglia. Lo sappiamo: ogni
storia di crescita è la storia di un amore impossibile, qui tale non fosse
altro per il diverso status - e, chiaro, il differente esercizio del potere -
tra le due donne, ma il cuore è nella scoperta del desiderio, ancorché
ingestibile e problematico, e di quanto possa far male essere invisibili e
inattraenti a prescindere dall’anagrafe e dal vissuto.
Ma quando quella voce trova uno
spazio e una trasfigurazione nella creatività terapeutica di un romanzo - che è
un po’ il punto di svolta di ogni estensore di diari: trasformare il privato,
svincolarlo dal personale e restituirlo agli altri così da poter diventare uno
specchio - ecco che “Dreams” torna a
essere una “commedia della chiacchiera” come Love, grazie ai magnifici e
divertenti dialoghi tra la madre e la nonna della protagonista: in un serrato
scambio generazionale che tira dentro la grande letteratura (le passeggiate
delle sorelle Brontë) e riduce i maschi a comparse (il sogno pieno di uomini
per scale quasi escheriane), le due donne accolgono la “sfida” della nipote, si
mettono in discussione, danno corpo ai propri sogni, affrontano le
contraddizioni della realtà.
Con la complicità decisiva delle
interpreti (Ella Øverbye, Selome Emnetu, Ane Dahl Torp e Anne Marit Jacobsen),
della fotografia di Cecilie Semec che nel nitore fa affiorare il calore e il
montaggio di Jens Christian Fodstad a dare fluidità agli scarti tra fantasia e
realtà, Haugerud si conferma un intellettuale che non si fa imprigionare dalla
teoria, capace di offrire un’empatica e profonda riflessione sull’umano e lo
spazio che abita.
Lorenzo Ciofani,
Cinematografo.it
Tre
generazioni di donne, un primo amore bruciante, un manoscritto che passa di
mano in mano suscitando reazioni sempre diverse (a volte comicamente diverse).
E un film che non smette di sorprenderci, pur usando apparentemente sempre lo
stesso tono, in una Norvegia ora invernale ora estiva ma sempre generosa di
forme e di sfondi che tra città e natura si fondono a meraviglia con i paesaggi
interni della protagonista. Anzi delle tre protagoniste, tutte fornite di
sentimenti forti e contraddittori: la passione incontrollabile di Johanne, la figlia
17enne che affida a un lungo ed elaborato "memoir" il ricordo di quel
primo amore; lo sconcerto di sua madre Kristin, che scopre insieme il lato
carnale della figlia e il suo grande talento letterario; infine, ma non ultima,
l'ammirazione e forse l'invidia della nonna scrittrice per quella nipote
coraggiosa e quel manoscritto così emozionante che scoperchia anche rimpianti e
antichi rancori (geniale la polemica su "Flashdance"...). Per non parlare di quella che resterà -
giustamente - la figura più enigmatica: l'affascinante, ambivalente
professoressa afrodiscendente di cui si innamora Johanne. In un gioco di
proiezioni e forse di seduzione reciproca (l'insegnante si chiama Johanna,
quasi come lei) che innerva il racconto dal principio alla fine come uno
scheletro impalpabile ma solidissimo. Mentre accanto al flusso passionale della
ragazza innamorata e della sua voce narrante, come pietre trascinate dalla
corrente rotolano questioni oggi centrali: gli inevitabili intrecci fra eros e
potere, l'ombra che pesa ormai su ogni relazione amorosa, la centralità della
riscossa femminile, ovvero la crescente fragilità e irrilevanza dei maschi.
Senza dimenticare le disparità sociali e culturali che minano le nostre città e
affiorano tra le pieghe dei vagabondaggi amorosi di Johanne. Non capita spesso
di sentirsi di fronte a una figura nuova e originale come quella del norvegese
Dag Johan Haugerud (Johan come Johanne e Johanna), classe 1964, scrittore ancor
prima che regista, premiato con L'Orso d'oro a Berlino per questo film. Un
talento quieto e iperconsapevole che affonda le radici in una tradizione molto
francese, scuola Rohmer, ma evoca bizzarramente certo cinema giapponese
contemporaneo (in testa l'Hamaguchi de "Il gioco del destino e della fantasia") per la capacità di
intrecciare le forme più nitide e luminose ai sentimenti più oscuri e
ingovernabili. Non vediamo l'ora di scoprire in sala anche gli altri due titoli
della trilogia, L'affollato "Love",
già in concorso a Venezia. E il primo dei tre in ordine di realizzazione:
"Sex".
Fabio
Ferzetti, L’Espresso
DAG JOHAN HAUGERUD
Filmografia:
Barn (2019), Sex (2024), Love (2024), Dreams (2024)
Martedì 9 dicembre 2025:
L’ORTO AMERICANO di Pupi Avati, con Filippo Scotti, Rita Tushingam, Armando De Ceccon, Roberto De Francesco, Chiara Caselli



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